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La culla
Cari
amici,
in questi giorni ho pensato molto alle parole di Paola,
e anche se le esperienze di ognuno di noi sono lontane l'una
dall'altra, leggere quelle poche righe mi ha colpito profondamente.Ripenso
all'immagine: "Sono una di quelli che non hanno visto
sorrisi davanti alla culla" e rivedo me alla fine del
1981, a sei anni. Giulia è nata a Novembre ma è
arrivata a casa molto più tardi, dico molto più
tardi perché passò almeno un mese prima che
la sorellina fosse dimessa dall'ospedale, un mese che a
me pareva un'eternità inspiegabile. Per quale motivo
Giulia aveva bisogno di tante cure? I fratellini e le sorelline
dei miei compagni di scuola erano arrivati a casa molto
prima. Forse allora Giulia non stava bene? Forse era successo
qualche cosa? Ricordo davvero con molta confusione quel
mese che trascorse dal 19 Novembre del 1981 al giorno che
Giulia arrivò a casa, non so come spiegarlo ma è
un ricordo molto fragile e allo stesso tempo molto netto.
Invece ricordo benissimo il giorno in cui Giulia arrivò
a casa, ricordo benissimo l'atmosfera che io avevo addosso
per quell'evento: una felicità straordinaria. Ada
ed io non aspettavamo altro che questo arrivo e ogni giorno
che passava era un appuntamento saltato.
La culla con i manici era appoggiata sul lettone dei miei
genitori, che era un lettone altissimo di quelli in ferro
battuto che si usavano una volta (ma questa è un'altra
storia) e per noi era impossibile riuscire a vedere qualcosa
perché nessuno ci aiutava a salirci... c'era tutto
un parlottare intorno a Giulia, molto sommesso, molto preoccupato.
Nessuno aveva voglia di festeggiare. Nessuno ci veniva a
trovare. "La possiamo vedere, la possiamo vedere, la
possiamo vedere, la possiamo vedere?", alla fine mia
madre cedette. Arrivo sul letto, mi scorgo sulla culla e
vedo questo esserino tutto rosa e imbacuccato. Che carina!
Tutto qui? Un mese di attesa, una scalata, mille preghiere
per una bambina come tutte le altre? Ma chi li capisce i
grandi. Da allora Giulia è stata la nostra compagna
di giochi, l'abbiamo torturata di coccole e di dispetti
nonostante lo sguardo vigile di mia
madre, le abbiamo fatto infrangere mille regole messe per
la sua sicurezza per il fatto che lei era sempre "piccola":
masticare la gomma americana con il rischio di strozzarsi,
spingere il passeggino in discesa, farle fare i tuffi...
se ci ripenso avrà rischiato la vita decine di volte.
Insomma, il fatto che lei avesse la sindrome Down io non
l'avevo proprio capito, certo mi ero accorta che era più
lenta di me alla sua età o più lenta dei suoi
coetanei ma non riuscivo a collegare questi indizi a qualche
cosa che avesse una rilevanza oggettiva: Giulia era castana,
cicciottella e un po' imbranata. Sapevo ovviamente che c'era
qualcosa di diverso, ma non di storto, non di negativo.
I problemi per me sono arrivati un pochino dopo (per poi
finire solo di recente) quando invece a scuola sembrava
che tutti sapessero qualcosa su Giulia che io non sapevo.
Quel periodo è stato davvero brutto perché
io non avevo gli strumenti per difendermi e non avevo quelli
per difendere Giulia perché in effetti io non sapevo
spiegare perché Giulia avesse quelle difficoltà.
Da un certo punto di vista io consideravo quelle difficoltà
assolutamente, pienamente, evidentemente, naturalmente normali,
da un altro punto di vista capivo che per gli altri non
era così perché Giulia non era come tutti
i gli altri bambini. Penso che abbiate capito a che cosa
mi riferisco, sono sentimenti molto comuni tra di noi. Solo
adesso che sono grande e ho avuto la fortuna di incontrare
altri fratelli e sorelle ho capito quanto sarebbe stato
importante per me capire e conoscere anche la disabilità
di Giulia fin dall'inizio. Perché se essa non appariva
con evidenza ai miei occhi, appariva invece con molta evidenza
a quelli degli altri che si sentivano in dovere di comunicarmelo
con durezza, o irriverenza, o pietismo o altro. Parlarne
in famiglia apertamente mi avrebbe aiutato molto, anche
se mi confrontavo con l'altra sorella ipotizzando strane
teorie sugli occhi a mandorla.
Grazie a voi, ai nostri incontri, ho imparato a mettermi
al centro della mia vita e a non vivere all'ombra di una
diversità mal spiegata, strozzata dal privilegio
di non avere la sindrome Down. Sono felice ancora di quella
nascita come lo ero quel giorno (il giorno che lei è
arrivata a casa corrisponde per me al giorno in cui è
nata), sono felice di un rapporto paritario conquistato
faticosamente da entrambe le parti e infine sono felice
che io e mia sorella abbiamo avuto la reciproca pazienza
di conoscerci e rispettarci senza lasciarci intimorire da
aspetti che a lungo sarebbero rimasti misteriosi per entrambe.
Vi abbraccio.
Carla Fermariello 19-02-2004
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