Bisogna imparare

Carissimi siblings,

fa caldo, non ho sonno, ho letto e riletto la stessa pagina del libro per diversi minuti. E allora che faccio? Vi scrivo una mail.
La tematica è anticipata dall’oggetto del messaggio e mi è
ronzata in testa per tutto il giorno. Non è una cosa nuova, né per me né per voi. Perché proprio oggi allora?
Chi lo sa. Forse perché ho trascorso una bella giornata con il mio Frank, una di quelle giornate che non si dimenticano: adulta, sincera, allegra. Sono andato a prenderlo al lavoro e abbiamo mangiato qui da me. Dopo pranzo si è riposato un po’, ha guardato la tv e abbiamo lavorato alla sua canzone. E quando dico “alla sua canzone” intendo proprio dire alla “sua” canzone: s’intitola “Questa è la mia canzone (di Francesco)”. Abbiamo discusso per minuti su quella parentesi ma poi… (io: “ma è ovvio che è ‘di Francesco’, il testo l’hai scritto tu e la canti tu, di chi altro vuoi che sia? Dài, non ti preoccupare, vedrai che si capisce…”; lui: “Metticelo!”) …l’ha spuntata lui.
Il pomeriggio è proseguito a casa dell’altro fratello, dove abbiamo inciso la sua voce sulla base “dance” registrata qui nelle scorse settimane. Magari un giorno ve la invio.

Ma torniamo al tema. Bisogna imparare.
[A scanso di equivoci preciso che l’impersonale, legittimamente assimilabile all’universale, qui vale solo per me. Sono io che devo imparare, anche se in fondo credo che valga un po’ per tutti i siblings, chi più chi meno].

Bisogna imparare a non guardare.
Francesco mangia con la testa nel piatto, e a meno che non lo si coinvolga o lui stesso non avvii una conversazione che lo riguardi direttamente, non la alza finché non è vuoto. Ora, “vuoto” non vuol dire con i residui bricioleschi di ciò che lo riempiva: vuoto vuol dire vuoto. Si dà il caso però che nella mia casa italo-belga scarseggi il pane: eufemismo per dire che non c’è, se
si eccettua quello in cassetta per i toast della colazione e i (buonissimi) crostini per l’insalata. Chi ha provato a fare la scarpetta con uno di questi ultimi riuscirà meglio di altri a capire perché Frank li sdegni così tanto quando arriva il momento di ripulire il piatto. E allora che fa? E che volete che faccia: si aiuta con il dito. A onor del vero, lo fa anche quando il pane c’è: è una delle sue “maleducazioni”. Per anni, e anni e anni, gli ho detto (aperta parentesi: gentilmente, seccamente, distrattamente, amorevolmente, pervicacemente, siblinghianamente, istericamente) di aiutarsi con il pane, ma niente: la sua reazione – specie negli ultimi tempi – è stata sempre del tipo: 1. continua imperterrito, 2. scuote la test, 3. mugugna qualcosa di comprensibile, 4. si lecca le dita.
Oggi: miracolo. Io, non lui.
Complice l’assenza del pane e lo sdegno per i crostini, non l’ho guardato; o forse sì, ma senza il minimo cenno alle sue operazioni ripulistiche. Lui, lui sì che guardava, ma dopo un po’ ha capito che facevo sul serio. Era libero. Alé!

Bisogna imparare a non ascoltare.
Qui la questione è più facile. Lavoro con gli adolescenti, volete che non abbia imparato a far finta di non aver sentito le oscenità (scontate), le parolacce (veniali), le bestemmie (un po’ azzardate, visto che la scuola è religiosa)? Chi è genitore lo sa molto meglio di me: qualche “vaffa”, a mezza o a un quarto di bocca, prima o poi se lo beccano tutti. E allora che fare?
Per come la vedo io, in molti casi è meglio far finta di niente.
Per “me” però è diverso. Io ho Frank. Che ogni tanto parla da solo o tra sé e sé (c’è una differenza, piccola ma c’è), specie se vuole dirti qualcosa in modo indiretto. E’ difficile capire quando è così o quando quel “mumble mumble” è semplicemente un pensiero a voce bassa. Ma cambia poco: è sempre riconducibile alla sua downitudine, alla sua incapacità di nascondere, sofisticare, mistificare i suoi pensieri. Detto altrimenti: Frank non sa
mentire. E così, non appena gli fai qualcosa che non gli va (categoria ampia, eterogenea e – soprattutto – sempre “in divenire”) ecco che parte il mugugno anti-te, cioè anti-me.
Talvolta però non si limita al mugugno e ti scrive delle lettere.

Bisogna imparare a leggere.
Se ti scrive una lettera è una cosa seria. Non solo la lettera, ma tutta la procedura. Che sia il giorno stesso o due giorni dopo, poco importa: ti si presenta con foglietti e fogliettini, e ti chiede di leggerli. A voce alta. In effetti è anche divertente.
Francesco sa scrivere: nel senso che se la cavicchia con l’ortografia e sa mettere nero su bianco quello che pensa. Il tutto poi è condito con metafore lirico-musico-televisive e con una sintassi di sua invenzione.
Quando leggi si ricorda a memoria tutte le parole, tanto è vero che se ne sbagli una (e capita spesso) ti corregge: “eh…caro Giulio”. Difficile vederlo più calmo e disponibile che in quelle occasioni. Se vedi un errore, anzi se lui intuisce – dalla tua lettura – che c’è un errore ortografico, sfodera la
penna e ti invita a correggerlo immediatamente.
Quando hai finito di leggere ti fa: “Hai capito, caro Giulio?”.

Oggi però non è successo nulla di tutto questo. Né mugugni né lettere.
Forse è anche per questo che è stata una bella giornata.

Buonanotte.

Giulio Iraci