Che cos’è la Sindrome di Down

Dal nome del Dr. Langdon Down, che nel 1866 ne identificò per primo le principali caratteristiche, è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di 47 cromosomi, anziché 46, nel nucleo di ogni cellula di chi ne è portatore: vi è, cioè, un cromosoma numero 21 in più, da cui il termine Trisomia 21.

La conseguenza di questa alterazione è un handicap caratterizzato da un variabile grado di ritardo nello sviluppo mentale, fisico e motorio e da una serie di caratteristiche somatiche facilmente riscontrabili, delle quali la più nota è il taglio a mandorla degli occhi.
Le cause precise che ne determinano l’insorgenza sono ancora sconosciute; non è, pertanto, possibile alcuna reale forma di prevenzione. Tuttavia, è noto che l’incidenza cresce con l’aumentare dell’età materna; ciò non esclude che possano nascere bambini con Sindrome di Down (SD) anche da donne giovani.

La SD può essere diagnosticata prima della nascita, tra la 12a e la 13a settimana di gestazione, con la villocentesi (analisi delle cellule da cui si sviluppa la placenta), o tra la 16a e la 18a settimana con l’amniocentesi (analisi del liquido amniotico).
Si stima che in Italia vivano circa 49.000 persone con SD, con un nuovo caso ogni 800-900 neonati. Negli ultimi decenni l’aspettativa di vita si è allungata di molto, raggiungendo oggi i 62 anni.

La maggior parte delle persone con SD può raggiungere un buon livello di autonomia personale, sia pure con tempi più lunghi; molti possono imparare a leggere e scrivere, uscire e fare acquisti da soli, apprendere e svolgere produttivamente un mestiere.
Non bisogna dimenticare che ogni persona con SD è diversa dall’altra, ed è assai variabile il grado di ritardo mentale; ciò richiede pertanto l’organizzazione di un percorso educativo individuale che rispetti, cioè, i tempi e le inclinazioni della singola persona.