10 Mar Intervento al convegno nazionale delle associazioni che si occupano di SD
Testo dell’intervento di Giulio Iraci al convegno nazionale delle associazioni che si occupano di SD-Milano, 10-3-02
Gentili signori e signore, mi chiamo Giulio Iraci. Sono socio dell’AIPD e consigliere della Fondazione Italiana Verso il Futuro Onlus. Vorrei innanzitutto ringraziare e salutare a nome del presidente della Fondazione, il dott. Enzo Razzano, le associazioni organizzatrici per averci concesso questo spazio.
Cercherò di essere sintetico. Anzi mi scuso fin d’ora se alcuni concetti saranno solo accennati. Spero comunque di essere chiaro. Sono felice di poter intervenire sul tema della residenzialità introdotto, come al solito, in modo estremamente puntuale da Anna Contardi poiché è di questo che la Fondazione si occupa da ormai quasi cinque anni: le soluzioni residenziali sono il suo scopo istituzionale. In questi anni, abbiamo studiato e realizzato alcuni progetti per fornire nuove risposte alle esigenze di autonomia e di indipendenza delle persone con sindrome Down, facendo particolare attenzione a questioni come: 1) compatibilità e benessere degli utenti – scusate il termine altamente burocratico – delle comunità alloggio; 2) distacco consapevole e graduale, laddove possibile, della persona Down dal nucleo familiare originario; 3) sostegno alle famiglie. Come forse molti di voi sapranno, aprire una comunità alloggio non è una cosa semplice. Questo almeno se si desidera farlo offrendo a chi entrerà a farne parte una vita in massimo grado dignitosa e serena. Affinché ciò sia realizzato, ahimè, una buona organizzazione e la buona volontà non sono sufficienti, sebbene necessari, anzi indispensabili. L’ostacolo più grande, dispiace dirlo – ma so di non sorprendere nessuno di voi – è quello relativo alle spese di gestione. Gli alti costi di una comunità alloggio derivano in massima parte dal compenso per gli assistenti che vi operano (circa il 70%) ma comprendono, com’è ovvio, anche le spese necessarie a mandare avanti una casa e a soddisfare le esigenze di chi vi abita. Le famiglie degli utenti non possono, anche nel migliore dei casi, far fronte a queste spese solo con le proprie forze. Servono strumenti in grado di sostenere le famiglie, sia emotivamente che economicamente. A questo proposito, qualche giorno addietro rileggevo la relazione presentata un anno e mezzo fa al convegno del novembre 2000 da un caro amico, Federico Girelli, ex vicepresidente dell’AIPD, in cui si sollecitava il mondo della disabilità a seguire da vicino l’iter parlamentare di disegni di leggi – oggi ahimè decaduti – relativi a istituti legali e fiscali quali l’amministratore di sostegno e il Trust, studiati proprio per il “dopo di noi” – che io da fratello chiamo il “con o durante noi” – e per venire incontro a chi desidera destinare il suo patrimonio ad uno scopo come quello che qui si intende perseguire. Ebbene, la Fondazione nasce proprio come organismo chiamato a gestire patrimoni destinati dalla famiglia di origine affinché essa si occupi del proprio familiare con sindrome Down vita natural durante ed è attentissima ad ogni provvedimento del Legislatore in tal senso. Ciò nondimeno, la sindrome Down è una realtà troppo diffusa per pensare di risolvere il problema della residenzialità unicamente attraverso le donazioni private, lo sapevamo quando abbiamo iniziato e ne siamo ancora più consapevoli ora, a cinque anni di distanza. Senza l’intervento degli Enti Pubblici non sarà possibile soddisfare le esigenze di tutte le persone Down e di tutte le famiglie che desidereranno usufruire di una casa famiglia. Qui le leggi ci sono già e coinvolgono le amministrazioni locali, soprattutto i Comuni, i quali possono rappresentare un valido sostegno per le famiglie e gli enti privati coinvolti in progetti residenziali. I Comuni sono chiamati per legge a stanziare parte del bilancio comunale per sovvenzionare progetti di case famiglia realizzati da privati. Confesso di non sapere come operino a questo riguardo le amministrazioni del resto d’Italia – purtroppo la Fondazione finora ha potuto muoversi solo su Roma, e fra mille difficoltà. Vi dirò dunque brevemente come si muove il Comune di Roma in materia di sovvenzioni alle comunità alloggio e come ciò abbia reso possibile la realizzazione delle nostre iniziative.
Solitamente, l’erogazione di tale sovvenzione è vincolata ad una convenzione stipulata con il Comune stesso; a seguito della convenzione quest’ultimo si impegna a versare una quota per ogni utente che, a seconda delle circostanze, può essere a retta ‘parziale’ o ‘totale’. Nel primo caso, quello della retta parziale, i costi della comunità sono coperti per circa il 40%; nel secondo caso, quello della retta totale, i costi di gestione sono quasi interamente coperti. Va peraltro detto che nel caso di retta piena il Comune si riserva il diritto di trattenere il 70% della dichiarazione Irpef dell’utente, lasciandogli tuttavia sempre e comunque una somma mensile pari almeno alla pensione minima. Esistono però requisiti ben precisi affinché la convenzione, specie quella a retta totale, sia stipulata; requisiti già ricordati nel dettaglio da Anna Contardi che vanno dalla idoneità dell’abitazione rispetto ad alcuni criteri tecnici, come la vivibilità degli spazi, sia personali che comuni, la messa a norma dell’impianto elettrico, ecc., alla scelta degli utenti stessi che, di norma, il Comune opera in base alle liste delle ASL di zona. Quest’ultimo requisito – quello della scelta di chi andrà a vivere nella comunità – è quello a cui è maggiormente vincolata la convenzione a retta piena. In sostanza, il Comune che intende stipulare una convenzione a retta piena si riserva il diritto di scegliere gli utenti della comunità. E questa prerogativa in teoria appare legittima, vista la contropartita economica, nondimeno in pratica vanifica, ahimè, il percorso di gradualità cui ora accennerò e che rappresenta forse l’aspetto più innovativo dei nostri progetti.
Finora, la Fondazione Italiana Verso il Futuro ha attivato due modelli di comunità, uno a carattere permanente, l’altro a carattere temporaneo. Consentitemi di fare un breve cenno ad ognuno di essi, anche per fornirvi un esempio concreto di come abbiamo lavorato in questi anni.
La prima comunità come dicevo è a carattere permanente ed è stata inaugurata nel ’99. Si chiama “Casa Primula” e ospita quattro donne con sindrome di Down in età compresa tra i 40 e i 50 anni, due delle quali senza i genitori. Il nucleo originario era di tre utenti, avviate alla convivenza permanente dopo aver fatto un percorso di conoscenza, di brevi convivenze e di confronto. In questi mesi è stata inserita la quarta donna anche qui solo dopo un graduale e attento lavoro di avvicinamento sia da parte della nuova ospite e della sua famiglia, sia da parte delle preesistenti inquiline. La casa famiglia è situata in un quartiere di Roma Ovest, alla Balduina, in un appartamento che le quattro donne hanno arredato a proprio gusto e che considerano la loro casa. L’inserimento della quarta utente ha reso necessario portare il numero degli operatori da quattro a cinque, affinché si potesse avere una rotazione sufficiente a garantirne la presenza continua. Questo ovviamente ha fatto lievitare i costi di gestione. Eppure, e qui ritorno al discorso dell’intervento comunale, visto che per questa comunità è stato possibile stipulare una convezione con il Comune con sovvenzione a retta piena, i costi di gestione, come dicevo prima, sono coperti quasi interamente.
Il secondo modello di comunità si chiama “Casa-settimane” ed è a carattere temporaneo. Cosa vuol dire a carattere temporaneo? Con ciò si intende una comunità che vuole essere una sorta di passaggio tra il nucleo familiare di origine e quello nel quale si vivrà permanentemente una volta usciti fuori di casa: una tappa fondamentale sia per i ragazzi sia per le famiglie. Su queste basi alla fine del ’99 è stata avviata una comunità denominata “Casa Girasoli” che prevedeva dei soggiorni di una settimana al mese per due anni di due gruppi di quattro ragazzi e cinque ragazze e ragazzi tra i 20 e i 30 anni allo scopo di far loro prendere coscienza del loro esser adulti, vivendo al di fuori della famiglia. Il gruppi sono stati selezionati dal personale tecnico della Fondazione seguendo criteri di compatibilità e in base alle richieste pervenute. Anche qui i soggiorni settimanali veri e propri sono cominciati solo dopo alcuni incontri e week-end di convivenza preliminari, per i quali ci si è avvalsi di “Casa Più”, una struttura, di cui la Casa-settimane è una diretta emanazione, ideata e realizzata dalla sezione di Roma dell’AIPD proprio per offrire ai ragazzi maggiorenni un primo esempio di convivenza al di fuori della famiglia diverso dalla gita o dal soggiorno ricreativo. Alla fine del 2001 si è conclusa la prima esperienza della Casa-settimane. Gli obiettivi prefissati sono stati efficacemente raggiunti: il progetto ha dato la possibilità ai partecipanti ed ai loro familiari di “sperimentarsi” nella realtà delle convivenze e di elaborare, con gli operatori e con il gruppo, nell’arco dei due anni, il vissuto emotivo che scaturiva dall’esperienza concreta di convivenza nella struttura, trovandoli così pronti, allo scadere dei due anni, a prendere una decisione realistica e consapevole sul proprio futuro. Allo scadere dei due anni, alcuni dei partecipanti hanno manifestato il desiderio di andare a vivere con degli amici in una comunità permanente. Fra poco tempo perciò, “Casa Girasoli” si trasformerà da casa settimane in comunità permanente dove andranno a vivere cinque dei nove ragazzi che hanno partecipato alla prima esperienza. La scelta dei cinque ragazzi è stata operata tenendo conto del percorso di crescita fatto da ciascuno nei due anni di convivenze, delle loro personali motivazioni a lasciare la casa di origine e dei desideri e delle motivazioni delle famiglie. Degli altri, alcuni non si sentono ancora pronti a lasciare la famiglia, altri vorrebbero farlo ma in totale autonomia e indipendenza, magari assieme alla fidanzata o al fidanzato (sono allo studio ipotesi residenziali per coppie stabili che intendano vivere insieme la loro vita). Nell’un caso o nell’altro però, siamo certi che per tutti loro, e per le loro famiglie, si è trattato di un’esperienza formativa estremamente positiva
Convinti della bontà del progetto, siamo pronti a proseguire il progetto “Casa Settimane” con nuovi gruppi per la composizione dei quali i nostri tecnici sono già al lavoro e che prevediamo di far partire nel prossimo autunno.
Grazie a tutti.