28 Nov Intervento al convegno organizzato dalla Associazione Il Sogno, “Disabilità: problemi, percorsi, persone
Roma 27 novembre 2004
Gentili Signore e Signori, buon pomeriggio.
Desidero prima di tutto ringraziare il Signor Nicola Panocchia per aver invitato, a questa giornata di studio e di confronto, il Gruppo Siblings – gruppo di sorelle e fratelli di persone con disabilità – di cui io sono qui oggi in veste di rappresentante.
Mi chiamo Carla Fermariello e sono la sorella di una giovane ragazza con la sindrome di Down di nome Giulia.
Giulia è nata quando io avevo solo sei anni e quindi posso dire, con le opportune distinzioni del caso, che la sindrome di Down fa parte della mia vita almeno quanto fa parte della sua, nel senso che la disabilità di mia sorella è stata determinate per la mia crescita e la mia formazione personale: il mio mondo emotivo, la mia personalità, le mie priorità esistenziali sono state, e sono ancora, influenzate dalla presenza di mia sorella in modo radicale e profondo. Tutte le mie scelte sono prese considerando il fatto che Giulia, una delle persone più importanti della mia vita, ha ed avrà sempre delle difficoltà che le impediranno di cavarsela completamente da sola. Giulia avrà comunque sempre bisogno di qualcuno che la aiuti e che la guidi ed io sono felice di essere quella persona perché, come ha detto un caro amico, “si è fratelli per tutta la vita”.1
L’affermazione precedente, tuttavia, non deve far pensare che restare uniti sia soltanto un ovvio e dovuto atto di amore tra fratelli, perché la scelta potrebbe anche essere diversa e meriterebbe comunque rispetto. Per quanto mi riguarda, la volontà di condividere la mia vita anche con Giulia, vale a dire la volontà di sostenersi reciprocamente in tutte le vicende future, è possibile solo perché c’è stata una lunga e faticosa riflessione su questa eventualità. In questo percorso è stato fondamentale il sostegno di altri fratelli e sorelle con i quali ho potuto, finalmente liberamente, aprirmi e confrontarmi su che cosa significhi avere una sorella con disabilità, quali emozioni ciò mi susciti, quali paure e quali necessità.
Il mio intervento ha per titolo una domanda: “La famiglia disabile?” e forse questo è il giusto approccio per introdurre la mia riflessione, che si limiterà solo alla mia esperienza e a quella di altri fratellie sorelle come me.
La nascita di una persona con disabilità in una famiglia è tradizionalmente considerata un evento traumatico e certamente può esserlo perchè, come scrive la Dott.ssa Anna Zambon Hobart, si tratta di “una nascita così diversa da quella attesa”2. Tuttavia questo non significa che la “famiglia disabile” sia necessariamente disfunzionale. Anzi, le ricerche condotte dagli anni ‘70, su famiglie con e senza figli con SD, dimostrano che non vi è alcuna sostanziale differenza tra gruppi; scrive la Dott.ssa Zambon Hobart: (…) “I risultati nelle ricerche più attuali sulla famiglia confermano ancora oggi quelli precedenti e cioè che i due gruppi [di famiglie] con SD e senza SD per pari condizioni sociali, culturali (salute fisica e psichica dei genitori e dei fratelli, rapporti di coppia, dunque separazioni o meno, rapporti sociali fuori del gruppo familiare e così via) sono sovrapponibili. Se ci sono alcune differenze sono spesso in positivo.(…)”3.
Studi analoghi sono stati fatti anche sui fratelli e le sorelle di persone con SD e i dati emersi sono molto interessanti perchè sfatano il mito, frutto di ricerche mal condotte, per cui qualsiasi problema di noi fratelli sarebbe da attribuire alla presenza dei nostri familiari con disabilità4.
Essere fratelli o sorelle è molto diverso dall’essere genitori perché il rapporto che si instaura tra “siblings” – sorelle e fratelli detto all’inglese – è essenzialmente paritario, basato sulla complicità e sul gioco, generalmente privo di pregiudizi (soprattutto in età infantile).
Questo non vuol dire che noi fratelli non ci aggorgiamo delle differenze fin da piccolissimi. Uno di noi, fratellino minore di una bambina con sD, riferisce durante un gruppo di auto-aiuto (attività principale del Gruppo Siblings): “Quando la guardavo capivo immediatamente che c’era qualcosa di diverso”; un altro fratello minore ricorda: “Io avevo capito da subito che mia sorella non era “normale”, mi ricordo addirittura che avevo il cruccio di doverlo dire a mia madre, senza trovare mai il coraggio di farlo (sembra assurdo, ma questo a 3 anni!)”.Io stessa ho sempre saputo che Giulia era una bambina con delle difficoltà molto maggiori rispetto agli altri bimbi della sua stessa età. Avviene insomma che noi fratelli ci accorgiamo delle differenze tra noi e il nostro fratello/a con disabilità anche quando i genitori ci considerano troppo piccoli per comprendere. L’apetto che ci può dare disagio in età infantile, dai racconti e dalle testimonianze di numerosi altri siblings, è la mancanza di spiegazioni precoci da parte dei genitori, o dei nonni o di altre persone a noi vicine. Il momento, delicatissimo, della “comunicazione della diagnosi” dovrebbe essere previsto ancheper i fratelli che, come tutti gli altri membri della famiglia, attendono con ansia la nuova nascita. Quel fratellino o quella sorellina che abbiamo tanto aspettato (se minore) o che troviamo ad accoglierci (se maggiore) sarà per noi un/a irrinunciabile compagno/a di giochi, un complice, un alleato, un amico con cui condividere le esperienze. Tra fratelli ci si assomiglia e, come tra genitori e figli, questa somiglianza, culturale prima che genetica, stabilisce una affinità emotiva propria di ogni rapporto affettivo che però non si nutre di solo amore ma anche di comprensione vera e attenta: conoscere, fin da piccolissimi, le difficoltà che nella vita incontreremo, sia noi che i nostri fratelli, ci aiuterà ad affrontare con serenità ogni avvenimento futuro: l’adolescenza (che dalle testimonianze di quasi tutti i siblings risulta il momento più critico), l’età adulta (con le sue questioni legate alla residenzialità, al lavoro, alla salute), la vecchiaia. Scrive la Dott.ssa A. Zambon: “Nella nostra esperienza con le famiglie, il silenzio sulla SD con gli altri figli è un problema assai comune. E’ lo stesso silenzio che alcuni genitori hanno sperimentato se il medicoha parlato molto poco e se le parole dette sono suonate come una condanna senza appello o come un errore che si poteva evitare. Allora il pensiero di esporre gli altri figli alla stessa esperienza drammatica diventa molto difficile.” E senza dimenticare che “il senso di disorientamento provato dai fratelli anche piccolissimi di fronte alla consapevolezza di un dramma da cui si sentono esclusi. I lorogenitori, pensando di proteggerli da una sofferenza che è la propria, non danno spiegazioni che sarebbe semplicissimodare se soloriuscissero ad essere più sereni.”5
Una sorella scrive: “…Ma ripensando al passato avrei tanto voluto che quel giorno in ospedale qualcuno avesse spiegato anche a me qualcosa di mia sorella, avrei voluto che a casa mia si fosse usato maggiormente il termine sindrome di Down senza paura, avrei tanto voluto che non si facesse finta di niente per tanto tempo….” e un’altra ancora: ”Comunque ero una bambina, mia madre mi aveva detto di curare mia sorella ed io non volevo deluderla, non volevo farla star male di più… Mi trovavo in mezzo a quella situazione strana dove era come se tutti cercassero di fare poco rumore… Frasi sussurrate, pochi sorrisi, sguardi sfuggenti per mascherare qualcosa,telefonate a bassa voce… poco rumore…e tensione…”. Puo’ capitare addirittura che i fratelli neanche sappiamo quale sia il tipo di disabilità in famiglia, come ci fa capire questa sorella: “i sibs hanno compiuto un piccolo miracolo. Ieri, per la prima volta dopo 29 anni (tanti ne ha mia sorella), mamma ha tirato fuori i documenti con la diagnosi della sua malattia. Si chiama: “chromosome 13 deletion syndrome”, per gli amici “sindrome di orbeli” o “sindrome di lele”. Non so perché, ma dare un nome a questa cosa mi ha tirato su un mucchio di emozioni che credevo sopite”.
Essere coinvolti ed informati consente a noi fratelli di affrontare più serenamente le difficoltà, rispetto alla disabilità, che derivano dall’esterno. Spesso anche noi, come i nostri fratelli, siamo vittime dei pregiudizi o oggetto di scherno. A scuola, a lavoro, con gli amici… sembra incredibile ma accade.
Scrive un fratello: “…Lacerazioni e dolori che invece sono giunti, puntuali, nel confronto col mondo fuori casa, dapprima nel confronto con i coetanei….(anche a me, quanto mi sarebbe piaciuto avere gli strumenti per difendere me emia sorella!) e, successivamente, con l’impatto con i cosiddetti “modelli di vita”, con quello che nel sentire comune e’ considerato bello e quello che e’ considerato brutto, quello che e’ fonte di vergogna o quello che e’ considerato fonte di orgoglio, con una idea di dignita’ della persona tutta centrata sulla “prestazione” e sul “rendimento”, con un’idea di intelligenza cognitiva utilizzata come misuratore unico della qualita’ di una donna o di un uomo. Con i modelli umani “vincenti” presentati dai media, dalla tv, dagli spot…..[…] Ci ho messo un bel po’ di piu’ ad iniziare a integrare ( piu’ armoniosamente possibile) mia sorella e me stesso col mondo fuori casa: e il nostro gruppo siblings, anche per me , ha avuto un ruolo decisivo in questo“.
E’ molto importante sottolineare che avere un fratello con disabilità nella maggioranza dei casi è fonte di gioia. Dal confronto con più di 150 fratelli e sorelle di tutte le età emerge che i sentimenti più diffusi sono l’amore, la tenerezza, il senso di protezione, la solidarietà reciproca. Sono numerosi I fratelli che affermano di imparare molto dai loro fratelli/e anche se questi ultimi hanno gravi disabilità. L’esperienza di vivere in una famiglia dove vi è un fratello con disabilità può essere positiva e rivelarsi motivo di crescita.6
Durante i gruppi di auto-aiuto (attività di sostegno tra fartelli e sorelle) la maggior parte di noi ha affermato che il legame affettivotra fratelli con e senza disabilità è forte e profondo e nullaha da invidiare ai normali rapporti tra fratelli senza disabilità. Molti di noi affermano che i nostrifratelli/e ci rendono migliori, più pazienti, più tolleranti.7Una sorella scrive: “A casa mia si parla solo con le note sopra il rigo, ma alla fine mi sono accorta di essere una persona molto più tollerante (per usare un termine orrendo, ma non me ne veniva uno migliore) e disponibile di quel che credevo. Quindi credo che mia sorella mi abbia reso migliore in un certo senso”. Un fratello spiega: “In tanti anni di convivenza, ho/abbiamo imparato a comunicare: abbiamo costruito un nostro codice. Quando mi vede giù lei mi chiede “che c’hai? Che hai fatto?” e dopo averle raccontato con semplicità quali problemi io possa avere, lei mi risponde :”porella (poverino, usa sempre il femminile)!” o frasi del genere e poi mi accarezza e mi bacia. Non c’è posto per le parole, per i confronti… provo un certo fremito parlando di questo, perché, sebbene la nostra comunicazione sia muta, quella sua carezza delicata e amorevole, con quella manina quasi fosse velluto, mi conforta e mi riscalda il cuore e mi sembra che lei veramente mi capisca; sento che lei percepisce il mio stato d’animo, la mia afflizione, sento che mi ama e che lei avverte il mio amore… questo è il miracolo della comunicazione non verbale e non cognitiva, frutto di uno strano processo osmotico, in cui i sensi e i sentimenti passano attraverso i pori della pelle e ne senti tutto il calore. Credo che l’unico segreto sia quello di ascoltare… non con l’udito, il mondo meraviglioso che mia sorella ha dentro”. Un’altra sorella scrive: “hanno ragione a scrivere che la nascita di un bambino down porta sui fratelli più aspetti positivi che negativi e non solo non distrugge una famiglia ma può rafforzarne i legami”.
Accanto ai sentimenti di amore e di riconoscienza che molti di noi nutrono nei confronti dei fratelli vi possono essere anche, e soprattutto in particolari fasi della vita, sentimenti più difficili ed ostili. Questo aspetto è assai diffuso e spesso le difficoltà maggiori derivano dal fatto che ci si sente soli e smarriti: i propri problemi si avvertono come meno importanti rispetto a quelli dei nostri fratelli, le angosce si percepiscono come incoffessabili, il senso di vergogna può pesare come un macigno. La mancanza di spazi per aprirsi e confrontarsi è l’aspetto che tutti I fratelli, iscritti alla nostra mailing list, che visitano il nostro sito o che partecipano ai gruppi di auto aiuto, denunciano con maggior forza. Una sorella ci dice: “Non mi sembra vero di aver trovato questo spazio che mi è sembrato subito proprio quello che stavo cercando… La realtà è che non sono mai riuscita a parlare apertamente con qualcuno di mia sorella e di cosa significa per me avere una sorella come lei”. I benefici della condivisione sono ricordati anche da un’altra di noi:” …oggi ho fatto un altro passo da sibling! per dimostrarmi e dimostrare che far parte di questa mailing list è un qualcosa che da i suoi frutti e non rimane relegata alll’etere o ai nostri pensieri!!!
oggi pomeriggio ad un certo punto mi è scattato dentro qualcosa e … ho detto a ben 4 persone del mio reparto che in realtà non sono figlia unica, ma che ho una sorella più grande sulla sedia a rotelle e che avevo mentito perchè era un qualcosa che non riuscivo a dire senza trattenere le mie emozioni e quindi per difesa avevo sempre omesso…”.
La necessità di creare spazi esclusivamente dedicati a noi fratelli e sorelle ci è stata indicata dalla Dott.ssa Zambon. Dopo aver partecipato, con il suo aiuto, al primo gruppo di auto-aiuto ho capito quale enorme importanza aveva avuto per me e quale straordinaria esperienza fosse stata quella. Dal 1998 il Gruppo Siblings organizza occasioni di incontro e di confronto tra fratelli per offrire la possibilità di un sostegno concreto. I gruppi di auto-aiuto “sono piccole comunità di persone che si incontrano per affrontare e condividere un disagio comune, chi partecipa sente di potersi aprire più facilmente perché ha di fronte persone che vivono una stessa esperienza” 8. Un altro fratello ricorda: “«Un giorno (un giorno che non dimenticherò) uno di noi scherzando ha detto: “Ho un Down” e io, per la prima volta, sono riuscito a dirmi: ce l’ho anch’io, il Down. Anch’io sono giù. Anch’io ho un problema. Non solo mia sorella, non solo mia madre. Anche per me tutto questo è faticoso. So di essere fortunato. Per esempio nessuno mi ha mai discriminato per il fatto di avere una sorella malata (a molti capita, sembra impossibile, ma è così). E poi sono sempre riuscito a vivere il mio rapporto con Claudia con una certa serenità: mi è sempre sembrato normale occuparmi di lei. Eppure ho dovuto aspettare molto tempo (e incontrare altri “fratelli” come me) per riuscire a dirmi anche la mia sofferenza».9 Un altro fratello ancora scrive: “In realtà vedendomi con voi ho portato al di fuori tante cose che non credevo avrei mai raccontato, non tanto per un mio pudore ma piuttosto perchè credo che essere ascoltato da voi non è la stessa cosa che essere ascoltati da chi sa solo in modo indiretto di cosa sto parlando”10.
Pensiamo che sia molto importante offrire ai fratelli e alle sorelle la possibilità di partecipare alle scelte familiari e di condividere le responsabilità: ciò consentirebbe, in una diversa visione della famiglia, anche a noi di esprimere il nostro parere ed i nostri sentimenti. Ciò gioverebbe a tutti e consentirebbe non solo di ristabilire alcuni equilibri ma anche di conoscere nuovi punti di vista.
La “famiglia disabile”, dunque? Non so. Certamente non si può parlare di una “tipica”11 famiglia ove è presente una persona con disabilità. Sarebbe forse più utile concentrarsi sulle esigenze particolari che una famiglia ove vi è una persona con disabilità può incontrare, consentendo a tutti i suoi componenti, fratelli e sorelle inclusi, di “attrezzarsi” adeguatamente.
Carla C. Fermariello
Gruppo Siblings
Bibliografia:
ZAMBON HOBART A., (1992), “Ancora a proposito di fratelli…”, Sindrome Down Notizie, Anno XI, n. 3, pp. 15-17.
ZAMBON HOBART ANNA, (1996), “La persona con Sindrome Down. Un’introduzione per la sua famiglia”, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
VON RIPER MARCIA, “Living with Down Syndrome: the Family Experince”, Down Syndrome Quarterly, volume 4, n.1, Marzo 1999
FERMARIELLO C., GWIS A., (2002), “Essere sorella o fratello di persona con SD”, Sindrome Down Notizie, n. 2, pp. 53-54.
Note: Tutte le testimonianze derivano dal sito pubblico www.siblings.it e dalla mailing list riservata esclusivamente ai fratelli e alle sorelle di persone con disabilità.
Sempre sul sito è possible trovare una ampia bibliografia specifica.
Per informazioni scrivere a info@siblings.it.
Gruppo Siblings – Largo Brancaccio 63, Roma – https://www.siblings.it info@siblings.it
1 F. Girelli, Intervista a cura di Stefania Rossotti pubblicata sul settimanale Grazia, n. 42/2003.
2 A.S. Zambon, La comunicazione della diagnosi, lavoro inviato come contributo alla preparazione delle
“Linee Guida Multidisciplinari per l’Assistenza Integrata alle Persone con Sindrome Down e alle Loro Famiglie”
in collaborazione con L’Istituto Superiore di Sanità, 2004.
4 Anche su questo aspetto confronta il documento della Dott.ssa Zambon citato nelle note.
5 A.S. Zambon, Breve commento alle testimonianze dei fratelli e delle sorelle, lavoro inviato come contributo alla preparazione delle “Linee Guida Multidisciplinari per l’Assistenza Integrata alle Persone con Sindrome Down e alle Loro Famiglie”in collaborazione con L’Istituto Superiore di Sanità, 2004.
6 Marcia Von Riper, Living with Down Syndrome: the Family Experience, Down Syndrome Quarterly, volume 4, n. 1, Marzo 1999
8 A.. Gwis, I gruppi di auto-aiuto, https://www.siblings.it/attività/autoaiuto/htm
9 F. Girelli, Intervista a cura di Stefania Rossotti pubblicata sul settimanale Grazia, n. 42/2003.
10 L. Paparo, Perché mi piace partecipare ai gruppi, https://www.siblings.it/esperienza/luigi/htm
11 Marcia Von Riper, Living with Down Syndrome: the Family Experience, Down Syndrome Quarterly, volume 4, n. 1, Marzo 1999