Io e mia sorella

Di Alessandro Gwis; pubblicato su “Diventare grandi: preadolescenti verso l’autonomia”, realizzato dall ‘AIPD onlus in collaborazione con il Comune di Roma

Penso di poter affermare con assoluta certezza e serenita’ che il rapporto interpersonale piu’ determinante della mia vita e’ stato quello con mia sorella. Livia e’ stata la persona con cui ho diviso tutto, il mio compagno di giochi, il mio complice, durante tutta la mia infanzia. Essendo io piu’ piccolo di lei non ho mai vissuto la difficolta’, o addirittura il trauma di dover accettare la particolarita’ della sua condizione; certo, sapevo che mia sorella non era del tutto come le altre bambine, ma per me non c’era nulla da accettare o non accettare;quello era il contesto nel quale ero venuto al mondo, e non ne immaginavo un altro. Probabilmente i fratelli maggiori di persone down (e in casa mia non ce ne sono, perche’ Livia e’ la primogenita) hanno un modo di rapportarsi molto differente con il fratello o la sorella. Anzi, posso aggiungere che la mia reazione naturale, quando mi fu chiaro (praticamente quasi subito) che Livia aveva delle differenze rispetto agli altri e’ stata quella di non aspettarmi da nessuno una presunta “normalità “. Sono cresciuto con un rapporto molto naturale con la peculiarita’ di ogni singola persona che incontravo. Mi rendo conto che questo puo’ sembrare, in una logica “adulta”, un artificio intellettualistico, ma per me, da piccolo, fu assolutamente spontaneo, ed ha rappresentato un po’ la chiave di volta della mia crescita. Quello che mi risulto’ invece doloroso e faticoso fu il rapportarmi con la definizione “clinico-sociale” della condizione di Livia; sapevo cosa fosse la sindrome di down, ma credo di essere riuscito ad ammettere a me stesso che mia sorella era down nel senso stretto del termine (e quindi nell’accezione “pubblica”, extra-familiare) solo intorno ai 14-15 anni. In altre parole, vivevo con disagio l’immagine che gli altri -intendo TUTTI gli altri, esclusi i miei genitori- avevano di mia sorella. A un certo punto della mia adolescenza era diventata quasi una prova del 9: una persona poteva diventarmi amica o meno a seconda di come si poneva verso mia sorella, o verso l’handicap in genere. Ovviamente anche questa si e’ dimostrata col tempo una fragilita’ di cui si poteva benissimo fare a meno, anche perche’ comportava un iper-protettivita’ verso Livia decisamente controproducente; vivere sentendo la responsabilita’ di proteggere qualcuno ti porta inevitabilmente a non rispettarne la capacita’ di sbrigarsela da se’ .Via via sono riuscito ad attenuare questo disagio, anche se mi e’ rimasta una certa insofferenza (magari spesso inutile) riguardo atteggiamenti che considero superficiali rispetto la sindrome di down, come ad esempio il rapportarsi all’argomento con pietismo oppure, cosa spesso piu’ irritante, l’atteggiamento di chi vuole convincerti (o forse convincersi?) che la persona down e’ come tutte le altre in tutto e per tutto, quasi a voler negare che viva comunque in una dimensione problematica. Ovviamente, e forse non c’e’ bisogno di aggiungerlo, non sopporto e non ho mai sopportato la parola “mongoloide” (che credo di aver pronunciato si’ e no 3 o 4 volte in vita mia), soprattutto per la valenza aggressiva che la accompagna.
In definitiva, non mi sento di tracciare un “bilancio” della mia esperienza di fratello di una persona down, cioe’ stabilire se questo abbia comportato per me piu’ o meno sofferenze o un arricchimento interiore maggiore o minore(si tratta di una domanda che spesso mi e’ stata rivolta); in realta’ nemmeno mi interessa stabilirlo, perche’ questa e’ stata la mia esperienza e non ne ho avuta un’altra. Direi comunque che i problemi mi sono stati creati piu’ dall’esterno che dall’interno della mia famiglia; devo anche riconoscere che l’atteggiamento generale verso l’handicap, pur essendo lontano dall’essere soddisfacente, e’ decisamente migliorato rispetto all’epoca della mia infanzia (20-25 anni fa); allora la persona down veniva quasi nascosta, era qualcosa di cui vergognarsi, molto piu’ di quanto non sia negli ultimi anni.