15 Dic L’esperienza dei fratelli in rapporto alla residenzialità
Convegno sulla residenzialità 10 – 11 Dicembre Roma
L’esperienza dei fratelli in rapporto alla residenzialità*
di Carla Ferrazzoli – Gruppo Siblings
Buongiorno,
desidero prima di tutto ringraziare la Fondazione per aver invitato a partecipare a questo convegno il Gruppo Siblings – gruppo di sorelle e fratelli di persone con disabilità – di cui oggi sono in veste di rappresentante.
Mi chiamo Carla Ferrazzoli e sono la sorella di Fabrizio che ha 50 anni e che da ottobre scorso è entrato definitivamente nella comunità Casa Fiordaliso, ultima nata delle Case della Fondazione, dopo casa Primula e casa Girasoli.
La strada che ci ha portato fino a Casa Fiordaliso è stata lunga, tortuosa e difficile, sia per quanto riguarda la gestione pratica ma soprattutto da un punto di vista emozionale ed affettivo.
Il “dopo di noi” è un problema che comincia ad insinuarsi lentamente ma sempre più prepotentemente nella testa e nel cuore dei genitori con l’avanzare dell’età, ma evidentemente è un problema che riguarda e coinvolge tutta la famiglia, perché le sorelle e i fratelli ne sono parte integrante.
Sono anni che sento parlare i miei genitori, quando ancora mio padre era vivo, del dopo di noi – che sarà di Fabrizio quando noi non ci saremo più – tarlo che entra nella testa dei genitori e che non esce più, diventa una domanda quotidiana, un pensiero fisso, cui non si sa e non si riesce a dare una risposta, più gli anni passano e più i genitori si sentono attanagliati e atterriti dall’idea che il loro figlio, diversamente abile, possa trovarsi improvvisamente senza protezione, senza garanzia di serenità e di affetti.
Quando sono nata Fabrizio aveva due anni e quindi siamo cresciuti insieme, lui fa parte della mia vita, come anche le sue problematiche, le sue difficoltà, le sue conquiste, ed altrettanto è per lui nei miei confronti, si preoccupa per me ed ha un rapporto meraviglioso con mia figlia.
Da parte mia non avrei avuto nessuna difficoltà a farlo vivere con me, dal momento in cui ci siamo resi conto, che l’avanzare dell’età di mia madre e tutte le problematiche ad essa correlate non consentivano più una vita serena per entrambi.
Mi sono sempre occupata di lui, anche vivendo fuori casa, con un lavoro che mi porta via molto tempo, la gestione della famiglia ecc., ma ho sempre considerato una normale conseguenza temporale che Fabrizio alla fine sarebbe venuto a vivere con me; questo non avrebbe comportato alcun problema ed era assolutamente normale.
Fabrizio fino ad ottobre è vissuto con la mamma, mio padre è morto parecchi anni fa e oltre me c’è un altro fratello, quindi vi chiederete perché la scelta di Casa Fiordaliso, perché non sia rimasto a vivere con la mamma o perché mai non sia venuto a stare con me o con l’altro fratello.
Generalmente a questo punto entrano in scena i fratelli rassicuranti, a rappresentare la continuità tangibile di una famiglia diversa ma sinceramente garante di affetto e assistenza.
Noi fratelli, alle prime avvisaglie del panico da “dopo di noi”, sentiamo subito di garantire ai nostri genitori la disponibilità illimitata alla “presa in carico” morale e materiale; vuoi per alleggerire i genitori vuoi per il nostro innato senso di responsabilità e di amore verso i nostri fratelli.
Noi siamo molto selettivi ed esigenti nella scelta dei nostri compagni, li testiamo e li mettiamo alla prova perché l’accettazione incondizionata dei nostri fratelli “speciali” è per noi fondamentale e quando ci sono, questa richiesta di accettazione, è rivolta anche ai nostri figli, i quali di solito hanno con loro un rapporto splendido.
A questo punto pare che il cerchio si sia finalmente chiuso, i genitori sono tranquilli, i mariti e le mogli sostanzialmente rassegnati, i figli sereni e noi fratelli appagati perché sentiamo di aver fatto il nostro dovere.
Ma qualcuno si chiede cosa pensa “la persona” oggetto di tutte queste transazioni?
Questa è la domanda che mia madre, cui riconosco indiscutibili doti di sensibilità e coraggio si è posta e mi ha posto?
Fabrizio cosa vuole fare? Dove vuole vivere e soprattutto con chi? Perché decidere per lui?
Non so cosa sia giusto e cosa sbagliato, non sono qui per dare risposte, ma per portarvi la mia esperienza.
Ad un certo punto però, ed in modo del tutto casuale, abbiamo sentito parlare della Fondazione e dei progetti di residenzialità che stava attuando e mia madre ed io ci siamo cominciate a chiedere se non fosse una buona cosa per Fabrizio.
Ne abbiamo parlato, ragionato e spesso anche discusso a lungo, senza sapere bene dove ci avrebbero portato i nostri discorsi sul rispetto della persona, sulla capacità di scegliere, ci siamo chieste anche cosa avrebbe detto papà a proposito di questo o di quello e a volte abbiamo temuto di essere incappate in discorsi puramente filosofici che ci avrebbero solo allontanate dalla realtà.
Realtà che sarebbe stato tanto più semplice e sbrigativo risolvere se solo avessi detto che Fabrizio poteva venire a vivere con me, ma certo il dubbio che prenderlo e portarlo a casa mia, fosse una soluzione che non teneva conto delle sue aspirazioni e dei suoi desideri, mi faceva sentire un po’ a disagio, una perplessità si era ormai insinuata per sempre nella mia coscienza.
Per circa due anni, F. ha seguito una sorta di tirocinio, per una settimana ogni mese è andato a vivere in quella che era il progetto di Casa Fiordaliso e che infatti si chiamava “casa settimana”; per quel periodo, tutte le sue attività, il centro diurno che frequenta da molti anni, i vari gruppi di amici, la parrocchia, il medico ecc. tutto era trasferito in “casa settimana”.
Ciò aveva motivazioni e finalità precise: serviva a verificare la determinazione di F., l’inserimento nel gruppo, la capacità di relazionarsi e le modalità di stabilire relazioni costruttive. Ciò era anche necessario per valutare nel corso delle “trasferte”, se così posso chiamarle, l’acquisire della consapevolezza di F., del senso vero e concreto di cosa fosse vivere in una comunità, dove ognuno ha dei compiti e dei doveri verso gli altri e verso se stesso, la consapevolezza delle aspettative reciproche.
In tutta sincerità devo dire che, quando Francesca Fea e Stefania Mazotti hanno presentato questo progetto, ho pensato che fosse una vera sciocchezza, un’inutile perdita di tempo per tutti. Poiché avevamo deciso di intraprendere questa strada e che F. si dimostrava decisamente favorevole, ritenevo fosse meglio iniziare in modo definitivo, senza dar luogo a quello che mi sembrava un lungo e supefluo preambolo.
Mi sbagliavo veramente tanto, l’ho capito sulla mia pelle già la prima volta; un sabato mattina, quando carica di borse e valige, dopo averlo abbracciato ed essermi dilungata in inutili raccomandazioni, perché tanto F. fa sempre ciò che vuole, mi sono chiusa la porta di Casa Fiordaliso alle spalle.
Improvvisamente mi sono sentita gelare e mentre mi allontanavo provavo uno sgradevole crescente disagio che mi prendeva alla gola, avevo voglia di piangere, mi sentivo in colpa per averlo abbandonato.
Pensavo; “Ecco dopo quasi 50 anni che nel bene e nel male F. fa parte della mia vita, non c’è stato un solo giorno in cui non sia stato nei miei pensieri, non un solo giorno che non mi sia preoccupata per lui, per i suoi capricci, che non mi sia battuta perché fossero rispettati i suoi diritti, che non abbia combattuto contro la gente gretta e insensibile. E’ vero quando eravamo bambini mi tirava i capelli e mi rompeva le bambole. Ma adesso che l’ho lasciato lì, in quella casa che non conosce, che non è la sua casa, con gente che non lo ama come lo amiamo noi, mi sento morire.
L’ho lasciato lì, come si lascia una valigia al deposito bagagli, ora non ho più da preoccuparmi per lui, ci sono altri che lo faranno per me. Lo capiranno quando parla? – mi chiedevo – F. si esprime così male – se non lo capiscono lui si innervosisce – gli daranno da mangiare cose morbide? – F. non ha quasi più denti e si è sempre rifiutato di portare l’apparecchio. Certo mamma gli avrà detto tutto, ma se lo ricorderanno?
E lui, F. cosa penserà di me, sorella Giuda che in un attimo lo ha scaricato?
In verità ho dovuto sperimentare più e più volte il dolore per la separazione, lasciando F. in “casa settimana” prima di capire che il tirocinio non lo stava facendo solo F. ma anzi e soprattutto lo stavamo facendo mia madre ed io.
La realtà, ho capito col tempo è molto diversa, F. per la prima volta stava esercitando il libero arbitrio, stava sperimentando la capacità e la voglia di vivere una vita finalmente da adulto, con altre persone adulte, per la prima volta non era un figlio o un fratello super protetto e coccolato.
Finalmente aveva l’opportunità di vivere da uomo.
La cosa veramente difficile è stata paradossalmente proprio questa: considerarlo un uomo che decide della sua vita.
Abbiamo quindi intrapreso la strada in cui Fabrizio era attore protagonista, forse per la prima volta nella sua vita, gli stavamo chiedendo di scegliere e di comunicarci le sue scelte e noi le avremmo accettate, qualunque fossero state.
All’inizio questa strada ci è sembrata lunga e tortuosa e non sapevamo dove ci avrebbe portati, non sapevamo che tipo di risposta avremmo trovato e soprattutto non sapevamo come Fabrizio avrebbe risposto, ma ormai la nostra scelta etica era fatta e da questa consapevolezza non potevamo più tornare indietro.
Ho capito attraverso questo complicato percorso, che se invece che a Casa Fiordaliso lo avessi portato a vivere a casa mia, come avevo sempre detto a mia madre, senza chiedergli se era quello che voleva davvero, lo avrei trattato come un bambino incapace di esercitare i suoi diritti o peggio da handicappato, ecco forse proprio in questo caso gli avrei mancato di rispetto.
Farlo crescere e vivere con dignità non significa tenerlo per mano e tirarlo per la via che noi riteniamo essere la più giusta per lui, è invece metterlo in condizione di individuare i suoi desideri e le sue aspirazioni ed aiutarlo a realizzarli.
Per primi noi familiari dobbiamo riconoscergli quel rispetto e quella dignità che tanto invochiamo dalla società e dalla gente comune.
*Intervento ora pubblicato in Sindome Down Notizie, n. 3/2004, “Il loro futuro ha una casa”, Atti del
Convegno sulla residenzialità di disabili intellettivi, Roma 10-11 dicembre 2004, p. 45 e segg.