Siblings.it (non solo su Giovanni, Raffaella, Federico e Maria Claudia)

Siblings.it (non solo su Giovanni, Raffaella, Federico e Maria Claudia)*

di Federico Girelli

Desidero innanzitutto ringraziare la Dott.ssa Silvia Bracci e il Dott. Ruggero Piperno per il cortese invito nonché l’Opera don Calabria nella persona di Fratello Giuseppe Brunelli, che dà ospitalità a questa giornata di sensibilizzazione dedicata ai fratelli di ragazzi con problemi.

Mi chiamo Federico Girelli ho 33 anni e sono il terzo di quattro fratelli: Giovanni di 36, Raffaella di 35, io e Maria Claudia di 27 con Sindrome di Down.

Maria Claudia nacque quando avevo quasi 6 anni ed ero molto contento per l’imminente arrivo della nuova sorellina. Certo mi sembrò un po’ strano che dopo la nascita di Maria Claudia trascorsero diversi giorni prima che lei e la Mamma tornassero a casa, però la gioia del giorno fatidico superò ogni precedente inquietudine. Per primo entrò mio Padre, inspiegabilmente per me non di buon umore. Non ho un ricordo di mia madre di quel giorno mentre nitidamente ho presente l’immagine di quella culla bianca sul letto, altissimo, dei miei genitori, che chissà perché rammento anch’esso bianchissimo e avvolto in una candida luce diffusa. Si trattava di una di quelle culle con i manici, che servono appunto a trasportare i neonati, e ricordo che fu Papà a portarla in camera da letto, contenendo, scuro in volto, il mio impeto di bambino che desiderava solo vedere la tanto attesa sorellina. Insomma volevo conoscerla, darle il benvenuto, accoglierla in famiglia. A me pareva, il mio, un intento normalissimo, affettuoso certo, ma, se vogliamo, anche scontato. Davvero non capivo la resistenza, il cattivo umore di mio Padre in quella felice circostanza. Noi tre fratelli maggiori, forse, facemmo anche un girotondo di festeggiamento. Chiaramente però c’era qualcosa che non andava. Non so se quel giorno, ma probabilmente in quelli successivi, mi rivolsi a Giovanni, che allora per me era il conoscitore dell’universo (non sono tanto sicuro che ancora oggi non sia più così). Mi spiegò che Maria Claudia era malata, che il suo cuore non funzionava bene, che presto, anche se così piccola, avrebbe dovuto affrontare una delicatissima operazione chirurgica. Gli chiesi se nel caso l’operazione fosse riuscita Maria Claudia sarebbe guarita. Mi rispose che sarebbe guarita, ma che c’era dell’altro. Chiesi allora se dopo l’operazione sarebbe stata in buona salute. Mi rispose in senso affermativo. Mi bastò. Passò del tempo, non saprei dire se dei mesi o un anno, si cominciò a sentir pronunciare in casa una curiosa locuzione : “ritardo mentale”. Questa volta chiesi lumi a Raffaella, che mi disse che me lo avrebbe spiegato come era stato spiegato a lei dal pediatra di Maria Claudia. «Hai presente quando nei fumetti di Topolino un personaggio ha un’idea, capisce qualcosa, arriva alla soluzione di un problema e gli si accende una lampadina sulla testa?», mi disse, «certamente», risposi. «Anche a Maria Claudia si accende quella lampadina, ma dopo, un po’ dopo…». Questo era il “ritardo mentale”. Compresi perfettamente e sono cresciuto nella consapevolezza che Maria Claudia avesse la Sindrome di Down; non c’è stato un momento preciso in cui l’ho scoperto.

Ricordo pomeriggi trascorsi a fare il “percorso di guerra” ossia, sotto la guida di Raffaella, che conosceva tutte le attività di stimolo programmate, Maria Claudia ed io strisciavamo lungo i corridoi della casa per far sì che imparasse a muovere in modo coordinato gli arti. Si facevano anche le “unità d’informazione”: ritagliavamo immagini, figure, fotografie dalle riviste e poi le incollavamo su dei supporti di cartone bianco. Avevamo preparato non so quante schede, erano davvero moltissime; in buona sostanza ci mettevamo di fronte a Maria Claudia e pronunciavamo il nome della cosa riprodotta nell’immagine, facendo scorrere velocemente le schede. Questo esercizio avrebbe dovuto aiutare Maria Claudia a collegare quel suono a quell’immagine in modo tale che, imbattendosi poi negli oggetti reali, le sarebbe stato più facile pronunciarne il nome. Da bambina diceva alcune parole, ma adesso, e da diversi anni, praticamente non parla affatto. In realtà non ha mai parlato. Cionondimeno comprende tutto quanto le si dice nonché i discorsi che vengono fatti dalle persone vicine pur non rivolgendosi a lei direttamente. Ne ho avute innumerevoli prove. Insomma, nonostante il suo silenzio, se è presente Maria Claudia non si può parlare come se fosse un infante perché si rende ben conto di quanto viene detto. Del resto è pur sempre una donna di 27 anni. Maria Claudia ha l’aspetto della “bella bambina”, ma si vede che è cresciuta e che ne è consapevole. Crescendo poi, come tutti, ha anche sofferto per amore quando era adolescente. Non siamo qui per parlare di lei, però, né desidero violare la sua riservatezza.

In fondo, e l’organizzazione di questa giornata ne è una prova, si comincia a capire come sia importante prestare attenzione anche al vissuto del fratello senza disabilità.

Ricordo che spesso accompagnavo mia madre alle diverse visite mediche cui doveva sottoporsi Maria Claudia. In particolare rammento la visita audiometrica, che si rese necessaria in quanto ad un certo momento ci si interrogò se il fatto che Maria Claudia non parlasse potesse dipendere da un qualche problema uditivo. Fu un fallimento come era facile prevedere. La Mamma, i medici ed io ci trovavamo in una specie di stanza dei bottoni dietro a un vetro. Maria Claudia invece nell’altra stanza seduta a un tavolino su cui insisteva un trenino elettrico e un grosso pulsante rosso. L’idea era che quando Maria Claudia avesse sentito la musica, che di lì a poco sarebbe stata diffusa, avrebbe dovuto premere il pulsante rosso che dava energia al trenino, il cui moto avrebbe segnalato ai medici che Claudia stava sentendo la musica. Riconosco che non posso essere certo (e francamente ne dubito) che Maria Claudia allora avesse capito che al suono della musica avrebbe dovuto premere il pulsante per far partire il treno, ma, conoscendola, con sicurezza posso affermare che il moto del treno non suscitava in lei alcun interesse, quindi, pur sentendo la musica e pur avendo capito come far partire il treno, difficilmente avrebbe premuto il pulsante rosso.

Da quando siamo diventati un po’ più grandicelli, per quanto mia madre si sia sempre fatta non in 4, ma in 8, 16, 32…, anche noi fratelli maggiori abbiamo dovuto far fronte all’esigenza di accompagnare Maria Claudia da quel medico piuttosto che da quell’altro specialista oppure presso le varie sedi ove svolgeva, e per fortuna ancora svolge, attività che la portano fuori di casa. Così come, se i genitori partivano, dovevamo organizzarci in modo tale che ci fosse sempre qualcuno a casa con Maria Claudia.

Tuttora, in ogni modo, quotidianamente mi trovo a dover rispondere ad esigenze di ordine essenzialmente pratico solo che adesso Giovanni, da tempo, vive per conto suo e Raffaella si è sposata da circa due anni (devo riconoscere che comunque è rimasta un importante punto di riferimento, nonostante si cerchi di non approfittarne troppo). Insomma a casa con i nostri genitori siamo rimasti io (e fra non molto mi sposerò…) e Maria Claudia. Così, per esempio, se Maria Claudia, come non poi così infrequentemente accade, la mattina non riesce ad alzarsi e quindi non va al Centro di Santa Maria della Pietà, tutta la giornata va riprogrammata in funzione della sua presenza a casa. Circostanza che, come minimo, determina un ritardo nell’uscita di casa se non addirittura l’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro.

Mutatis mutandis oggi si verificano situazioni non molto diverse rispetto a quando ero studente universitario. Per esempio: se sei da solo a casa con lei chiaramente ti devi preoccupare di assisterla un po’ in tutto; per non parlare del senso di colpa che ti assale nei momenti in cui, pur non avendo lei bisogno di nulla in particolare, ti metti finalmente a lavorare perché devi (almeno cercare) di rispettare scadenze importanti. A quel punto non riesci a non pensare al fatto che lei è in grado di stare anche ore nell’altra stanza seduta sulla poltrona praticamente a non fare niente. È una delle poche volte che ti trovi a casa, poiché ormai ci stai solo la sera (tardi) lavorando il resto della giornata, che cosa fai? Fai finta di niente? Per la tua ambizione professionale lasceresti tua sorella disabile in balìa di se stessa senza preoccupartene e oseresti non approfittare della tua occasionale presenza a casa quel pomeriggio per dedicarti un po’ a lei? Credetemi, tutto questo è un processo mentale quasi automatico. Certo ormai me ne sono fatto una ragione e riesco a vivere il tutto con un certo equilibrio tuttavia in quelle circostanze non è così semplice concentrarsi sul proprio lavoro e non pensare ad altro (rectius alla propria sorella).

Si possono poi creare conflitti che profondamente incidono nelle proprie scelte di vita. Provate ad immaginare che cosa potrebbe accadere (e non è poi così raro) se la persona con la quale avete deciso di condividere il resto della vita non accettasse di doversi in qualche modo relazionare con il vostro fratello disabile. Come si fa a scegliere tra l’amore per un fratello e quello per il proprio partner. Sono situazioni davvero drammatiche, di cui, peraltro, è stata data una apprezzabile rappresentazione in alcune scene del film L’ottavo giorno. Da questo punto di vista mi ritengo fortunato in quanto la mia fidanzata, Benedetta, è bella, brava, buona, colta, preparata, sensibile, insomma ha tutte le virtù (la verità è che appena vedo i suoi lunghi, magnifici, capelli rossi non capisco più niente e quindi l’adorerei comunque anche se fosse cattivissima). Personalmente quindi non devo affrontare questo tipo di difficoltà né, francamente, credo che avrei mai deciso di dividere la mia vita con una persona che ponesse delle condizioni su uno dei miei fratelli. Non tutti, però, si trovano nella mia situazione o hanno il mio stesso modo di ragionare; ed è proprio in questi casi che emerge ancora di più come sia importante salvaguardare il diritto di poter fare liberamente scelte così personali.

La scelta del partner, è inutile negarlo, ha dei punti di tangenza con la preoccupazione, ritenuta tradizionalmente appannaggio dei genitori, in merito alla presenza negli anni avvenire di persone che si prendano cura dei nostri fratelli. È noto nelle sue diverse declinazioni il tema del cosiddetto “dopo di noi”. Fra di esse, quindi, nominerò solamente la questione della “residenzialità”, dell’individuazione di soluzioni abitative, per persone adulte con disabilità, alternative alle famiglie di origine. Questione che certamente non può essere trattata esaustivamente in questa sede né comunque mi permetterei di farlo, vista l’autorevole presenza oggi di chi scientificamente e professionalmente si dedica allo studio e alla soluzione di questi problemi (per il punto di vista di una sorella sulla “residenzialità” vedi C. FERRAZZOLI, L’esperienza dei fratelli in rapporto alla residenzialità, Intervento al convegno sulla residenzialità di disabili intellettivi “Il loro futuro ha una casa”, Roma, 10-11 dicembre 2004, in questo sito). Vorrei, invece, con riferimento al più ampio tema del “dopo di noi” ricordarne la riformulazione operata da un caro amico, anch’egli fratello di persona con Sindrome di Down, in termini di «con o durante noi» (vedi G. IRACI, Intervento al convegno nazionale delle associazioni che si occupano di SD – Milano, 10-3-02, in questo sito), sicuramente più confacente all’ottica di chi affronta tali questioni non da genitore, ma, appunto, da fratello. In fondo non v’è chi non veda, senza voler mettere chiaramente alcun limite alla Provvidenza, come in genere siano proprio i fratelli, di fatto, a vivere la maggior parte della propria vita con il fratello disabile, intercettandone in particolare la fase adulta.

Questa giornata di sensibilizzazione, ripeto, è la prova che finalmente si inizia a cogliere l’importanza del punto di vista dei fratelli. Certamente le esperienze sono molteplici e diversificate e la mia, che nei limiti di un intervento ho cercato di riportare (come si fa a raccontare una vita intera peraltro tuttora in evoluzione), non è che una delle tante. Diversa, infatti, è l’esperienza di chi, essendo il fratello minore, vive il cosiddetto “sorpasso” cioè il momento in cui, pur restando il fratello più piccolo, si rende conto che da quel momento in poi ricoprirà il ruolo volente o nolente di fratello maggiore. Come anche è diversa la condizione di chi ha solo il fratello con la disabilità, e non altri, oppure ha il medesimo sesso del proprio fratello o sorella. Va tenuto conto poi di tutti quei fattori sociali economici, culturali, legati alle singole storie familiari. Si potrebbe dire a questo punto che ogni storia è a sé, e probabilmente è così, ma esiste un quid, un vissuto interiore che le sorelle e i fratelli di persone con disabilità hanno in comune.

Da diversi anni ormai sono impegnato, insieme ad altri fratelli, nella promozione dell’auto-aiuto fra fratelli in vista di un approccio globale alle tematiche dell’handicap, che non trascuri la posizione di chi è fratello della persona con disabilità, prestandovi semmai specifica attenzione. Il Gruppo Siblings (abbiamo scelto il termine inglese siblings perché con una sola parola esprime il significato della locuzione italiana “sorelle e fratelli”) è una realtà nata a Roma fra fratelli di persone con Sindrome di Down, ma che oggi vede coinvolti sorelle e fratelli di tutta Italia (di cui diversi hanno un fratello con disabilità diversa dalla SD), che riescono a tenersi in contatto e a far conoscere la propria esperienza anche tramite il sito web che abbiamo realizzato (www.siblings.it), il cui “nucleo di valori” è costituito appunto da quelle esperienze autentiche raccontate direttamente da sorelle e fratelli che hanno acconsentito esplicitamente a renderle disponibili on line.

Sono trascorsi ormai circa otto anni da quando per la prima volta mi ritrovai a condividere la mia condizione di fratello con persone che non fossero mie consanguinee. Mi piace ricordare quell’inizio con le parole dell’amico cui già ho accennato sopra in quanto sento queste come “mie” parole: «Il Gruppo Siblings è stato creato nel 1997 da sei sorelle e fratelli di persone con SD e con il vitale sostegno della Dott.ssa Anna Zambon Hobart. Lo scopo, allora come oggi, era di offrire alle sorelle e ai fratelli di persone con disabilità la possibilità di esprimere se stessi condividendo e confrontando le loro esperienze personali. Io ero uno di quei sei fratelli e ricordo nitidamente l’emozione di trovarmi nella stessa stanza con dei perfetti sconosciuti i quali, nondimeno, erano simili a me per un “piccolo” dettaglio: erano tutti fratelli di persone con SD. Già in quel primo incontro ci raccontammo cose intime che nessuno di noi aveva mai confidato al migliore amico, ai genitori e forse nemmeno a se stesso. Avevamo appena creato un gruppo di auto aiuto, vale a dire un gruppo informale di persone con lo stesso problema nel quale ogni partecipante ha l’opportunità di affrontarlo e, possibilmente, di risolverlo. Per la prima volta riflettemmo su cosa significa avere un fratello con disabilità, su quanto questa situazione avesse influenzato la nostra vita, le nostre scelte (anche professionali) e le nostre relazioni personali, e su quanto potesse condizionare la nostra vita alla morte dei nostri genitori» (G. IRACI, Relazione presentata al Convegno “Convergenza e Coesione nella Società” organizzato dal Canadian Disability Studies Association (CDSA), 29-30 maggio 2004, Università di Manitoba, Winnipeg, Canada, in questo sito).

In questi anni io stesso mi sono stupito nel constatare quale rivelazione sia, per chi ha un fratello con disabilità, il solo fatto di prendere coscienza di non essere il solo e quale insperata opportunità poter incontrare fisicamente altre persone in grado di comprenderlo perché “sulla sua stessa barca”. Ritengo che tale opportunità di provare a sciogliere i propri “nodi”, di riuscire a stare meglio con se stessi, debba essere offerta a quanti più fratelli possibile; la conquistata serenità del fratello senza disabilità non potrà che incidere positivamente nella relazione con il fratello disabile, producendo, in ultima analisi, un beneficio anche per quest’ultimo.

Col passare del tempo il nostro raggio di azione si è ampliato e ci siamo ritrovati impegnati su diversi fronti pertanto l’attività del Gruppo Siblings oggi si articola nei seguenti moduli:

1. organizzazione di gruppi di auto-aiuto;

2. visite in diverse città italiane per proporre a sempre nuovi sorelle e fratelli il nostro progetto;

3. cura di una mailing-list riservata alle sorelle e ai fratelli;

4. aggiornamento del sito web strumento essenziale per la nostra attività.

Si sono già svolti due raduni nazionali dei Siblings (2002 e 2004), ove si è resa possibile la conoscenza diretta di sorelle e fratelli provenienti da tutte le regioni d’Italia. Questi incontri sono per noi particolarmente significativi in quanto consentono di rafforzare il comune senso di appartenenza ad un gruppo qualificato di persone, che intendono condividere un simile e concreto percorso di vita.

Naturalmente abbiamo partecipato e continuiamo ad intervenire a convegni di rilievo nazionale ed internazionale. Peraltro abbiamo realizzato un messaggio filmato, ove si spiega in inglese chi siamo e che cosa facciamo, e lo abbiamo inviato ai Siblings australiani, i quali lo hanno proiettato nel corso della loro Convention.

Desidero ringraziare sentitamente gli organizzatori di questa giornata per aver voluto proprio dei fratelli di persone con disabilità per “parlare di fratelli”. Focalizzare l’attenzione sul fratello senza la disabilità costituisce un importante passo in avanti nelle azioni di sostegno alle famiglie tradizionalmente rivolte in via esclusiva ai genitori. Che si stiano facendo dei passi avanti in questa direzione, ascoltando appunto il punto di vista dei fratelli, è dimostrato anche dal fatto che i Siblings partecipano attivamente al procedimento di definizione delle Linee Guida sulla Sindrome di Down promosso dall’Istituto Superiore di Sanità.

Consentitemi prima di chiudere di ricordare un libretto la cui lettura consiglio sempre a chi intenda avvicinarsi all’ottica propria dei fratelli: si tratta di Festa di compleanno di Paula Fox, di cui trovate, se credete, una breve recensione nel sito alla sezione “Pubblicazioni ed interventi”. Trovo inoltre esemplificativo dello status di fratello anche il film Buon compleanno Mister Grape, dove Mister Grape è un ragazzo con ritardo mentale il cui fratello maggiore è il protagonista della pellicola. Se vi è capitato di vedere il più recente Love Actually non vi sarà sfuggito come una delle protagoniste viva proprio una tipica condizione di sibling adulta.

In particolare i siblings adulti, oltre che con tutto il loro portato emozionale, spesso devono confrontarsi con tutta una serie di questioni legali collegate alla disabilità del proprio fratello. Cure, queste, che non poco incidono sulla qualità della vita di noi fratelli, che ci ritroviamo a dover acquisire una certa dimestichezza con numerosi istituti giuridici, “polverizzati”, peraltro, in una congerie normativa ove persino l’interprete più acuto fatica a trovare un denominatore comune.

Accennerò al riguardo, e davvero chiudo, solamente ad una recente questione che interessa in primo luogo i fratelli e dai risvolti rilevanti anche per la vita di ogni giorno.

La Corte d’Appello di Torino sez. Lavoro ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53) «nella parte in cui prevede che le sorelle o i fratelli del soggetto handicappato possono fruire del congedo solo in caso di scomparsa dei genitori e non anche nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano scomparsi ma siano, perché totalmente inabili ed in possesso dei requisiti ex art. 1 legge n. 18/1980, impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato» (App. Torino, sez. lav., ord. 8 luglio 2004, in Gazzetta Ufficiale, 1a Serie speciale, 17 novembre 2004, n. 45).

Nel caso di specie la sorella (C. M.), parte nel giudizio avanti alla Corte d’Appello di Torino sez. Lavoro, ora sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale, è orfana di padre e ha la madre totalmente inabile, quindi, secondo la lettera della norma, non sarebbe configurabile la «scomparsa» di entrambi i genitori, presupposto necessario perché C. M. possa fruire del congedo retribuito a lei utile (forse indispensabile) per poter prestare assistenza al fratello disabile.

A me pare che le due situazioni (scomparsa dei genitori e impossibilità da parte del genitore superstite di assistere il figlio disabile) siano ragionevolmente simili e meritino pertanto lo stesso trattamento in base all’art. 3 Cost., indicato, peraltro, dalla Corte torinese quale parametro costituzionale per dichiarare l’illegittimità, nei termini indicati, della norma attualmente in vigore.

Restiamo dunque in fiduciosa attesa della decisione della Corte costituzionale, la cui giurisprudenza, invero, negli ultimi anni ha dimostrato una certa sensibilità rispetto alle esigenze delle persone con disabilità e dei loro familiari.

Vi ringrazio.

* Intervento svolto alla Giornata di sensibilizzazione per operatori sanitari e familiari “Segnali da un mondo sommerso. Essere fratelli di ragazzi con problemi” organizzata dal Centro Diurno Psicoriabilitativo “L’Alberoblu”, Opera don Calabria – Roma, 25 febbraio 2005, pubblicato ora in PIPERNO R. (a cura di), (2006), “Segnali da un mondo sommerso: essere fratelli di ragazzi con problemi”, Atti della giornata di sensibilizzazione, Roma 25 febbraio 2005, Edizioni CCSC, Roma, p. 48 e segg.