Vita tra fratelli

Vita tra fratelli*
di Federico Girelli

Il video dell’intervento

A Tino e a Suo fratello Paolo

Buona sera; vorrei intanto esprimere qualche doveroso e sentito ringraziamento: grazie alla Presidente dell’AIPD sezione di Belluno professoressa Ines Cappellari per l’attenzione che ha voluto riservare al Comitato Siblings Onlus, invitandomi a partecipare a questa importante giornata, e grazie al nostro Presidente Nazionale Giuseppe Cutrera, che con la sua presenza qui oggi ci onora.

Ho detto “nostro Presidente” poiché sono anche io socio AIPD iscritto alla sezione di Roma e, come Giuseppe Cutrera ha ricordato con l’affettuosa cortesia che Lo contraddistingue, in passato ho ricoperto la carica di vice presidente dell’AIPD Nazionale.

Il titolo della relazione affidatami “Vita tra fratelli” ha una doppia valenza semantica: da un lato evoca il rapporto con il proprio fratello disabile e dall’altro le relazioni che si instaurano fra persone, che condividono la medesima condizione esistenziale di “fratello di persona con disabilità”. Il mio intervento, quindi, si muoverà su questi due piani, individuale e comunitario, e non è un caso che segua proprio le relazioni che hanno interessato la “vita adulta” delle persone con sindrome di Down: sono proprio i fratelli, infatti, a vivere la maggior parte della loro vita con il fratello disabile, intercettandone in particolare la fase adulta. Questa, del resto, non se ne abbiano a male i genitori, è la Legge di Natura.

Ho 36 anni e sono il terzo di quattro fratelli: Giovanni di 39, Raffaella di 37, io e Maria Claudia di 30 con Sindrome di Down.

Maria Claudia nacque quando avevo quasi 6 anni ed ero molto contento per l’imminente arrivo della nuova sorellina. Certo mi sembrò un po’ strano che dopo la nascita di Maria Claudia trascorsero diversi giorni prima che lei e la Mamma tornassero a casa.

Ricordo che mio Padre non era (inspiegabilmente per me) di buon umore. Non ho, invece, un ricordo di mia madre di quel giorno.

Ricordo che fu Papà a portarla in camera da letto, contenendo, scuro in volto, il mio impeto di bambino che desiderava solo vedere la tanto attesa sorellina. Insomma volevo conoscerla, darle il benvenuto, accoglierla in famiglia. A me pareva, il mio, un intento normalissimo, affettuoso certo, ma, se vogliamo, anche scontato. Davvero non capivo la resistenza, il cattivo umore di mio Padre in quella felice circostanza. Noi tre fratelli maggiori, anzi, forse facemmo anche un girotondo di festeggiamento. Chiaramente però c’era qualcosa che non andava. Non so se quel giorno, ma probabilmente in quelli successivi, mi rivolsi a Giovanni, il fratello maggiore.

Mi spiegò che Maria Claudia era malata, che il suo cuore non funzionava bene, che presto, anche se così piccola, avrebbe dovuto affrontare una delicatissima operazione chirurgica. Gli chiesi se nel caso l’operazione fosse riuscita Maria Claudia sarebbe guarita. Mi rispose che sarebbe guarita, ma che c’era dell’altro. Chiesi allora se dopo l’operazione sarebbe stata in buona salute. Mi rispose in senso affermativo. Mi bastò.

Passò del tempo, non saprei dire se dei mesi o un anno, si cominciò a sentir pronunciare in casa una curiosa locuzione: “ritardo mentale”.

Questa volta capii che era necessario il consulto di uno specialista diverso dal “cardiochirurgo” Giovanni così chiesi lumi a Raffaella, che mi disse che mi avrebbe spiegato la questione come era stata spiegata a lei dal pediatra di Maria Claudia.

«Hai presente quando nei fumetti di Topolino un personaggio ha un’idea, capisce qualcosa, arriva alla soluzione di un problema e gli si accende una lampadina sulla testa?», mi disse, «certamente», risposi. «Anche a Maria Claudia si accende quella lampadina, ma dopo, un po’ dopo, magari molto dopo…». Questo era il “ritardo mentale”. Compresi perfettamente e sono cresciuto nella consapevolezza che Maria Claudia avesse la Sindrome di Down; non c’è stato un momento preciso in cui l’ho scoperto.

Ricordo pomeriggi trascorsi a fare il “percorso di guerra” ossia, sotto la guida di Raffaella, che conosceva tutte le attività di stimolo programmate, Maria Claudia ed io strisciavamo lungo i corridoi della casa per far sì che imparasse a muovere in modo coordinato gli arti. Si facevano anche le “unità d’informazione”: ritagliavamo immagini, figure, fotografie dalle riviste e poi le incollavamo su dei supporti di cartone bianco. Avevamo preparato non so quante schede, erano davvero moltissime; in buona sostanza ci mettevamo di fronte a Maria Claudia e pronunciavamo il nome della cosa riprodotta nell’immagine, facendo scorrere velocemente le schede. Questo esercizio avrebbe dovuto aiutare Maria Claudia a collegare quel suono a quell’immagine in modo tale che, imbattendosi poi negli oggetti reali, le sarebbe stato più facile pronunciarne il nome.

Da bambina, effettivamente, diceva alcune parole, ma adesso, e da diversi anni, praticamente non parla affatto. In realtà non ha mai parlato.

Ricordo anche che spesso accompagnavo mia madre alle diverse visite mediche cui doveva sottoporsi Maria Claudia.

Da quando poi siamo diventati un po’ più grandicelli, per quanto mia madre, va detto, si sia sempre fatta non in 4, ma in 8, 16, 32…, anche noi fratelli maggiori abbiamo dovuto far fronte all’esigenza di accompagnare Maria Claudia da quel medico piuttosto che da quell’altro specialista oppure presso le varie sedi ove svolgeva, e per fortuna ancora svolge, attività che la portano fuori di casa (come, ad esempio, l’Agenzia del Tempo Libero organizzata dall’AIPD sezione di Roma).

Se poi i nostri genitori partivano, dovevamo organizzarci in modo tale che ci fosse sempre qualcuno a casa con Maria Claudia.

Se volete capire – i genitori qui presenti mi consentiranno di provare a dar Loro un consiglio – che cosa passa per la testa a Vostro figlio, l’altro , quello senza disabilità, leggete Festa di compleanno , di Paula Fox, edito da Mondadori, disponibile anche nella biblioteca dell’AIPD Nazionale.

Protagonista di Festa di compleanno non è Jacob Coleman, un bambino con la Sindrome di Down, bensì suo fratello maggiore Paul.

L’originalità di questo libro consiste proprio nella scelta di raccontare i primi anni di vita di Jacob attraverso gli occhi del fratello. L’autrice anziché porre al centro della narrazione, come di solito accade, i “progressi” di Jacob lascia che Paul racconti se stesso facendo della sua crescita interiore la vera trama del libro.

Con una certa “franchezza” emergono i pensieri e le emozioni di un ragazzo, che ha visto la propria vita rivoluzionata dalla nascita di un fratello, che non esita a definire “difettoso” e che decide di ignorare. Nelle appena ottantadue pagine del libro, inoltre, non solo trovano spazio i piccoli grandi errori commessi in perfetta buona fede dai genitori, ma è ben descritto anche il ruolo importantissimo, che può avere in questi casi un nonno in gamba o un amico sincero. La vicenda di Paul si chiude con un delicato lieto fine, scevro, però, da toni patetici, in armonia, del resto, con lo stile che contraddistingue l’intero libro e di cui costituisce un indubbio pregio.

Il Gruppo Siblings si propone di offrire particolare sostegno proprio a chi, come Paul, non accetta la diversità del proprio fratello e mal tollera tutti quei condizionamenti che inevitabilmente conseguono al fatto di avere un fratello disabile: il Gruppo Siblings muove dalla consapevolezza di quanto sia necessario prestare attenzione anche al vissuto del fratello senza disabilità.

Il Gruppo Siblings nasce con una telefonata dieci anni fa (fra poco in verità saranno undici): Giulio Iraci, fratello di persona con Sindrome di Down, per telefono mi chiese se ero disponibile ad incontrare per almeno tre volte altri cinque fratelli per parlare “di noi”, non tanto dei nostri fratelli disabili. Se l’esperienza mi fosse andata a genio, magari ci saremmo potuti vedere ancora, altrimenti fatto il terzo incontro ognuno avrebbe ripreso la sua strada. Ebbene parlammo fra noi non solo tre volte, ma molte, molte di più. Era nato un gruppo di auto-aiuto ove ognuno poteva liberamente parlare della propria esperienza e ci ritrovammo a dire cose che probabilmente non avevamo detto nemmeno ai nostri genitori, al migliore amico, ai fratelli “normali” consanguinei (anzi, a tal proposito, ricordo come sia preferibile che non partecipino al medesimo gruppo fratelli, che appartengano alla stessa famiglia).

All’inizio praticamente nemmeno conoscevamo i nostri interlocutori eppure c’era un quid , che ci accomunava e che ha consentito che ci aprissimo come mai avevamo fatto prima.

L’avvio di questo primo gruppo fu possibile, va detto, grazie all’idea ed al supporto della dottoressa Anna Serena Zambon, che ancor’oggi con il garbo che La contraddistingue all’occorrenza si rende disponibile a darci il Suo consiglio.

A seguito della nostra esperienza decidemmo di offrire anche ad altri fratelli l’opportunità di provare a sciogliere i propri “nodi”, di riuscire a stare meglio con se stessi, di non sentirsi più soli.

Sia chiaro, e la esperienza di questi dieci anni ce lo ha confermato, ogni fratello ha la sua storia: diversa, infatti, è l’esperienza di chi, essendo il fratello minore, vive il cosiddetto “sorpasso” cioè il momento in cui, pur restando il fratello più piccolo, si rende conto che da quel momento in poi ricoprirà il ruolo volente o nolente di fratello maggiore (come è accaduto al mio amico Giulio Iraci, oggi segretario del Comitato Siblings). Diversa è la condizione di chi ha solo il fratello con la disabilità, e non altri, oppure ha il medesimo sesso del proprio fratello o sorella. Va tenuto conto poi di tutti quei fattori sociali economici, culturali, legati alle singole storie familiari. Eppure esiste quel quid , cui ho accennato sopra, quel vissuto interiore che le sorelle e i fratelli di persone con disabilità hanno in comune, che, create le condizioni per poterlo condividere al meglio, nutre la naturalezza della comunicazione tra fratelli: si avverte davvero, insomma, che il tuo interlocutore comprende perfettamente ciò di cui stai parlando perché si trova “sulla tua stessa barca”.

Dapprima, grazie alla collaborazione dell’AIPD Sezione di Roma, contattammo telefonicamente, non senza qualche difficoltà, altri fratelli di persone con Sindrome di Down (noi stessi partecipanti al “primo” gruppo di auto-aiuto avevamo tutti un fratello o una sorella con Sindrome di Down e all’AIPD Sezione di Roma i nostri fratelli facevano riferimento).

Successivamente tramite contatti con altre sezioni AIPD l’attività dei Siblings fu portata anche in altre città e poi per favorire il collegamento fra i vari fratelli, che cominciavano a divenire numerosi e dislocati in più città, creammo una mailing list (grazie all’idea e alla operosità di Alessandro Capriccioli, oggi nostro tesoriere).

Alla mailing list possono accedere solo i Siblings, in quanto, oltre a messaggi di mero raccordo operativo, in essa passano anche contenuti molto delicati o intimi, la cui divulgazione all’esterno è assolutamente vietata. La mailing list , insomma, è anch’essa uno strumento per condividere esperienze, che si affianca agli incontri di persona e consente il sostegno reciproco fra i Siblings di tutta Italia.

Il sito web www.siblings.it ha rappresentato per noi un punto di arrivo, in quanto frutto di un lungo ed intenso lavoro, ma anche un punto di partenza, poiché una volta messo on line , i contatti con fratelli che ancora non conoscevamo sono cresciuti esponenzialmente.

Il Gruppo Siblings è così diventato una realtà di rilievo nazionale e non solo (abbiamo realizzato infatti anche la versione in lingua inglese del sito e siamo in contatto con fratelli di altri Paesi).

La scelta del nome “siblings” deriva dal fatto che questa espressione inglese con una sola parola esprime un significato che comprende sia le sorelle sia i fratelli, mentre in italiano la locuzione “fratelli” letteralmente individua solo i fratelli maschi.

L’intestazione del sito reca la dicitura “sorelle e fratelli di persone con disabilità”; inizialmente invero la denominazione era “sorelle e fratelli di persone con sindrome di Down ed altre disabilità”: dapprima infatti la stragrande maggioranza dei siblings aveva un fratello con sindrome di Down, ma nel tempo, ampliandosi i contatti, sempre più numerosi sono stati i fratelli di persone con disabilità diversa dalla sindrome di Down, che hanno chiesto di iscriversi alla nostra mailing list.

L’idea di fondo della nostra iniziativa è, del resto, quella di porre l’attenzione sul fratello senza disabilità e, ferme le peculiarità che contraddistinguono i singoli casi, abbiamo avuto modo di verificare che le dinamiche proprie dei siblings si qualificano per quel vissuto, per quel tipo di approccio, di “punto di vista”, tipico della condizione di “fratello” in quanto tale, che prescinde, o almeno non dipende del tutto, dalla specifica difficoltà del fratello disabile, ma deriva dalla oggettiva condizione di disagio di quest’ultimo, che può essere determinata dalle disabilità più diverse.

Il Gruppo Siblings vuole anzi sottolineare come l’attività di sostegno alle famiglie non possa essere indirizzata esclusivamente ai genitori o alla persona con disabilità, ma debba tener conto del fatto che le “famiglie”, appunto, sono composte anche dai fratelli, delle cui esigenze e del cui contributo, magari, bisogna pur tener conto.

Del resto una conquistata serenità del fratello senza disabilità non può che incidere positivamente nella relazione con il fratello disabile, producendo, in ultima analisi, un beneficio anche per quest’ultimo.

Per la verità i gruppo di auto-aiuto, da noi promossi, vedono la partecipazione in particolare di fratelli adulti, che cioè siano almeno maggiorenni o vicini alla maggiore età (salvo una vigilatissima esperienza di gruppo di adolescenti), data la delicatezza dei temi trattati. Riteniamo, infatti, che un’esperienza di questo tipo rivolta a persone molto giovani debba essere guidata da tecnici, psicologi, insomma da coloro che hanno una preparazione professionale adeguata a supportare il confronto fra siblings molto giovani.

Il Gruppo Siblings, del resto, intende offrire sostegno, aiuto ai fratelli e non certo, nemmeno involontariamente, concorrere in qualche modo a determinare il rischio di creare loro più problemi di quanti già non ne abbiano: una cautela che ci ha guidato, attenzione, non solo chiaramente nella scelta dei contenuti del sito, ma addirittura nella scelta dei colori di questo sito. Siamo ben consapevoli, infatti, di come la nostra proposta possa toccare corde molto delicate: l’improvvisazione quindi è bandita dal nostro modus operandi .

Il sito web è dunque oggi uno strumento per favorire il contatto tra i fratelli e per far conoscere l’esperienza di fratello di persona disabile.

Il “nucleo di valori” del sito in fondo è costituito proprio da quelle esperienze autentiche (raccolte nella sezione “La nostra esperienza”) raccontate direttamente da sorelle e fratelli, che hanno acconsentito esplicitamente a renderle disponibili on line .

Proprio per dimostrare come la disabilità possa essere vissuta in modo diverso a seconda del “punto di vista” da cui la si guarda, vorrei riportare una di queste esperienze raccontata da Alessandro Capriccioli e da lui intitolata Tutto a posto :

«Doveva arrivare, prima o poi, il momento che sto per raccontarvi.

Una ventina di giorni fa, me ne sto seduto con Alberto e Andrea, i miei figli di 3 e 6 anni, al tavolo di un chiosco del Circeo a mangiare un panino, in mezzo a uno dei quindici giorni di vacanza nei quali sono insieme a me.

Chiacchieriamo, aspettando con impazienza che arrivino i tre supplì d’ordinanza, e mentre rubo prima del cibo solido un sorsetto di birra fredda Andrea scandisce la domanda che mi aspettavo ormai da un po’.

“Papà, ma lo zio Antonio ha una malattia?”

Fronteggio coscenziosamente il rinculo della birra nella glottide, ingoio, tossisco, mi ricompongo. Meno male che me l’aspettavo.

“Non proprio una malattia, ciccio. Te n’eri accorto da un pezzo e me l’hai chiesto solo oggi, oppure è una cosa che hai capito da poco?”

“Da un pochino. Ma ha la stessa malattia di Maria Claudia, la sorella di Federico?”

Metto insieme mentalmente tutto quello che so sulla sindrome di down: prima di tutto precisione, anche nella semplicità che la circostanza richiede.

Attacco il discorso che tante volte avevo immaginato di cominciare, e la rincorsa dev’essere discreta, perché le parole mi vengono fuori piuttosto chiare, Andrea sembra interessato e perfino Alberto interrompe le sue rimostranze per il ritardo del supplì e mi ascolta con la faccia seria e giudiziosa.

Un quarto d’ora scarso, poi la spiegazione finisce. Seguono un paio di minuti di silenzio. Poi Andrea commenta.

“Insomma, non sa parlare, cammina maluccio, non fa sport, non lavora, non va a scuola, non ha la fidanzata, ma per il resto è tutto a posto, giusto?”

Sorrido. E’ un buon modo per dirlo. Forse migliore del mio».

Nel sito non sono solo illustrate le nostre esperienze, ma anche le diverse attività in cui siamo o siamo stati impegnati come ad esempio: la fattiva partecipazione alla scrittura delle “Linee guida multidisciplinari per l’assistenza integrata alle persone con sindrome di Down e alle loro famiglie”; l’intervento di Giulio Iraci al Convegno “Convergenza e Coesione nella Società” organizzato dal Canadian Disability Studies Association (CDSA), nei giorni 29-30 maggio 2004, presso l’Università di Manitoba, a Winnipeg, in Canada; la collaborazione al progetto LISU – Limiti Superabili – promosso e realizzato dall’Ufficio di Statistica del Comune di Roma, i cui risultati sono stati pubblicati nel volume “Noialtri. Un’indagine sulla qualità della vita delle persone con sindrome di Down” , la cui presentazione a Roma in Campidoglio il 10 settembre 2007 ha visto l’intervento di Carla Fermariello, vice presidente del Comitato Siblings.

Abbiamo organizzato, inoltre, diversi raduni nazionali dei Siblings, ove si è resa possibile la conoscenza diretta di sorelle e fratelli provenienti da tutte le regioni d’Italia. Questi incontri per noi sono particolarmente significativi in quanto consentono di rafforzare il comune senso di appartenenza ad un gruppo qualificato di persone, che intendono condividere un simile e concreto percorso di vita.

Per il resto non posso che rinviare direttamente al sito ( www.siblings.it ) e dato che stiamo parlando di attività del Gruppo Siblings vorrei ringraziare sul serio, senza alcuna piaggeria o motivazione di mera circostanza, Laura Cappellari (membro del Comitato Siblings e, per la verità, figlia della Presidente della Associazione, la cui ventennale attività oggi celebriamo) per l’impegno profuso in questi ultimi anni per la “causa dei Siblings”: un impegno, credetemi, che per descrivere il quale non trovo altri termini se non commovente .

Ed è proprio in ragione di questo speciale debito di riconoscenza che quando Laura chiama, il presidente accorre: mi tratterrò, infatti, a Belluno anche domani, in quanto è stato fissato per domani mattina un incontro con gli alunni di una scuola per parlare loro della condizione dei fratelli di persone con disabilità.

Seppure rapidamente vorrei ora meglio precisare la connessione, cui ho fatto riferimento all’inizio, tra la posizione dei fratelli e le questioni che si pongono in relazione alla vita adulta delle persone con disabilità.

Emergono profili di assoluta concretezza.

Basti pensare, intanto, alla scelta del proprio partner : è inutile negarlo, questo passaggio fondamentale nella vita di un uomo o di una donna presenta punti di tangenza con la preoccupazione, ritenuta tradizionalmente appannaggio dei genitori, in merito alla presenza negli anni avvenire di persone che si prendano cura dei nostri fratelli. Non sempre e non automaticamente un fratello “ingombrante” viene accettato di buon grado dal partner : io, Federico, avrei delle serie difficoltà a reputare “donna della mia vita” una persona che – userò un termine un po’ forte, ma che esprime la verità di tante situazioni – rifiuti mia sorella, nondimeno resta il fatto che poi ognuno ha la propria sensibilità, la propria storia, il proprio percorso di vita, le proprie motivazioni, in forza delle quali effettua le proprie scelte con le conseguenze che queste comportano.

È noto, insomma, il tema del cosiddetto “dopo di noi” nelle sue diverse declinazioni, fra cui la questione della “residenzialità”, dell’individuazione di soluzioni abitative per persone adulte con disabilità alternative alle famiglie di origine, è forse quella che più angustia chi ha un figlio (o un fratello) disabile.

A tal proposito consentitemi di ricordare la Fondazione Italiana Verso il Futuro (del cui consiglio direttivo sono membro), da diversi anni impegnata su questo fronte, che oggi gestisce a Roma tre Comunità Alloggio (Primula, Fiordaliso, Girasoli) e cura altresì tramite i progetti “Noi in Borgo” e “un futuro verso casa”, in partnership con la Fondazione Umana Mente, la Fondazione Handicap: Dopo di Noi e l’AIPD Sezione di Roma, il graduale svincolo di persone con Sindrome Down adulte dalla famiglia di origine, realizzando esperienze abitative “sperimentali” con particolare attenzione anche alle esigenze individuali (per approfondimenti ulteriori sulle attività della Fondazione Italiana Verso il Futuro non posso che rinviare al suo sito www.casaloro.it , denominazione, per la verità, che bene esprime la filosofia di chi ha fondato questo ente e continua ad operare per esso).

Se, come s’è detto sopra, ci impegnamo a far sì che i fratelli stiano meglio con se stessi, con auspicabile miglioramento del rapporto con il fratello disabile e quindi in ultima analisi con beneficio proprio per quest’ultimo, anche la scelta della soluzione abitativa potrà rivelarsi ottimale e non già dettata, magari esclusivamente, dall’emergenza derivante dalla morte (a volte improvvisa) dei genitori.

Vorrei, pertanto, richiamare la riformulazione operata da Giulio Iraci del tema del “dopo di noi” in termini di «con o durante noi» (vedi G. IRACI, Intervento al convegno nazionale delle associazioni che si occupano di SD – Milano, 10-3-02), sicuramente più confacente all’ottica di chi affronta tali questioni non da genitore, ma, appunto, da fratello (segnalo che il 19 ottobre 2007 a Torino la Fondazione Promozione Sociale ha organizzato un convegno intitolatoo proprio “DURANTE E DOPO DI NOI”. Come garantire diritti esigibili e tutele effettive alle persone con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia ).

Scene davvero esemplificative di tale «con o durante noi» si ritrovano in film quali Buon compleanno Mister Grape , L’ottavo giorno (ricordate la sorella del protagonista?) ed anche Love Actually , dove una delle protagoniste vive una tipica condizione di sibling adulta.

Per capire in concreto a che cosa mi sto riferendo riporto qui di seguito un brano tratto dal saggio introduttivo di Ruggero Piperno a Le Bellezze dell’Albero. Una giornata di straordinaria normalità (fotografie di Claudio Sica, testi di Alessandro Brunetti a cura di Miriam Mirali, Maprosti & Lisanti Editore, 2007), libro di fotografie, con didascalie scritte dallo stesso protagonista con l’aiuto di una psicologa, che “racconta” la giornata di Alessandro, trentenne con disabilità psichica, divisa fra lavoro, tempo libero e vita familiare.

Il dott. Piperno, psichiatra e psicoterapeuta, è il direttore tecnico sanitario dell’Opera don Calabria di Roma, che ha elaborato il progetto “Art. 3” volto a promuovere l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica nell’ottica di una integrazione che favorisca anche le persone non disabili.

Nel saggio del dott. Piperno le considerazioni di ordine tecnico-scientifico si accompagnano al racconto di alcune esperienze concrete, che a me (forse perché il saggio introduce un libro di foto) sono apparse come delle “diapositive”; riporto quella intitolata «Pescasseroli. Luglio 2007» situata alle pagine 20-21:

« Matrimonio del figlio di un mio amico, un ragazzo che ha una sorella disabile. Vorrei provare a riproporre una serie di pensieri che potrei riassumere in un’unica formula: “non deve essere facile”.

Non deve essere facile per una ragazza disabile accettare il matrimonio del fratello quasi coetaneo perché sente che si rompe un legame privilegiato, suscitando comprensibili sentimenti di invidia e gelosia.

Non deve essere facile per una ragazza disabile accettare la propria cognata, perché questa nuova donna avrà più “potere” di lei nei confronti del fratello e lei si trova ad avere sempre minore influenza nei confronti delle persone che la circondano, che rappresentano la maggior parte delle sue relazioni sociali.

Non deve essere facile per questa ragazza disabile accettare un matrimonio che lei stessa, per quanto possa desiderare, non riuscirà mai ad avere se non nella fantasia onnipresente di sposarsi questo o quest’altro personaggio famoso.

Non deve essere facile per il fratello di una ragazza disabile sentire che quello che è un momento di felicità di fatto provoca sofferenza, invidia e gelosia in una sorella più sfortunata, alla quale vuole bene, e che non può essere criticata per questi sentimenti.

Né deve essere facile per questo fratello immaginare che, uscendo di casa, tutto il carico emotivo rimane ai propri genitori, mentre lui si costruisce una nuova famiglia della quale, nonostante l’affetto, questa sorella non potrà essere parte integrante.

Né deve essere facile per questo fratello armonizzare i bisogni della famiglia d’origine con la nuova famiglia, né far accettare alla propria sposa questa presenza che, anche durante la cerimonia, si manifesta come incalzante, invadente ed intrusiva, imponendosi in ogni momento, dallo scambio degli anelli al taglio della torta nuziale.

Né deve essere facile per questa novella sposa accettare la presenza invasiva di una cognata che non può allontanare senza sentirsi cattiva e per non dispiacere al proprio marito.

Né deve essere facile per i due genitori organizzare un matrimonio all’insegna dello “speriamo che non succeda nulla”, non riuscendo a rilassarsi pensando al dolore che può provare questa figlia che esprime il suo risentimento, in qualche modo giusto e sbagliato allo stesso tempo, con l’impossibilità di lasciare, per una volta, la centralità al fratello.

Potremmo continuare ad ipotizzare molti altri, forse infiniti, “non deve essere facile”. Soltanto un pensiero che tenga conto di tutti questi aspetti e sia in grado di allearsi con tutti, senza colpevolizzare nessuno, potrà concepire una strategia d’aiuto che non sia giudicante ma che sia realmente di sostegno ad ogni persona, vittima e carnefice in un problema che solo superficialmente potrebbe sembrare di una sola persona ».

I siblings adulti, oltre che con tutto il loro portato emozionale, spesso devono confrontarsi con tutta una serie di questioni legali collegate alla disabilità del proprio fratello. Cure, queste, che non poco incidono sulla qualità della vita di noi fratelli, che ci ritroviamo a dover acquisire una certa dimestichezza con numerosi istituti giuridici, “polverizzati”, peraltro, in una congerie normativa ove persino l’interprete più acuto fatica a trovare un denominatore comune.

Questa mattina Salvatore Nocera, cui noi tutti dobbiamo sincera riconoscenza per come mette a disposizione la sua conoscenza enciclopedica non solo dei testi normativi, ma anche della più sparuta circolare ministeriale, ci ha confermato come non sempre il legislatore brilli per chiarezza di contenuto e di intenti, nondimeno l’avv. Nocera ha richiamato anche la storica sentenza n. 215 del 1987, con cui la Corte costituzionale affermò come la frequenza delle scuole medie superiori dovesse essere «assicurata» ai soggetti portatori di handicap e non semplicemente «favorita» come prevedeva l’art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118. Tale decisione si fondava sull’assunto per cui «l’inserimento nella scuola e l’acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento fondamentale per quel “pieno sviluppo della persona umana”», che gli articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione «additano come meta da raggiungere». La Corte, inoltre, chiarì come la garanzia dell’istruzione sia anche finalizzata all’inserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro.

Ebbene potremmo dire “figlia” dell’indirizzo inaugurato con tale decisione un’altra più recente sentenza, la n. 233 del 2005, che riguarda in particolare la posizione dei fratelli. La Consulta ha, infatti, statuito che ai fratelli di persone con disabilità spetta il congedo straordinario retribuito, di cui all’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), non solo dopo la «scomparsa» dei genitori ma anche quando questi siano totalmente inabili. In questa sentenza, peraltro, per la prima volta la giurisprudenza costituzionale utilizza la locuzione «soggetto diversamente abile» e forse non è un caso che il giudice relatore sia stato una donna, l’avv. Fernanda Contri, prima donna nella storia repubblicana a divenire giudice costituzionale e prima donna vice-presidente della Corte stessa, di cui per un certo periodo ha tenuto anche la reggenza (oggi un’altra donna è membro della Corte la professoressa Maria Rita Saulle).

Personalmente all’espressione «soggetto diversamente abile» preferisco «persona con disabilità», tuttavia va riconosciuto ed apprezzato lo sforzo compiuto dalla Corte di “esprimersi bene” di usare una terminologia corretta e comprensibile; anche con questo tipo di scelte si dà giustizia costituzionale.

Chiudo ricordando due uomini, due fratelli, Tino e Paolo, cui intendo dedicare questo mio intervento.

Tino è un uomo (anzi era un uomo) con la Sindrome di Down, che è morto alcuni giorni fa. Paolo è suo fratello e ha superato i cinquant’anni d’età.

Tino si è spento all’alba dei suoi sessant’anni, dopo una lunga malattia, che ha imposto a Paolo, che vive e lavora a Milano, di praticamente trasferirsi in Puglia, dove vivono i suoi genitori (ormai piuttosto avanti con gli anni) e dove era ricoverato Tino. Il decorso della malattia, va detto, ha comportato per Paolo anche l’adozione di decisioni spesso molto difficili in ordine a terapie da praticare o meno al fratello.

A parte la sofferenza, lascio a Voi immaginare le sole complicanze logistiche (professionali e familiari) determinate da tutto ciò nella vita di Paolo.

Allora, ciao Tino….

E a Te Paolo, che hai ancora bisogno di Tino, ma che dovrai accontentarTi di noi, il nostro abbraccio caldo e saldo nonché un monito affettuoso, che vuole soprattutto essere una prospettiva per il futuro: la vita tra fratelli continua.

Grazie a Tutti Voi

* Intervento svolto al Convegno “Quale progetto di vita della persona con Sindrome di Down?”, organizzato dall’AIPD-sezione di Belluno in occasione dei suoi venti anni di attività, Belluno 29 novembre 2007.