Vito Mancuso: l’handicap, noi e Dio

di Federico Girelli*

La nascita di una persona con disabilità non pone solamente la questione di quale sarà la sua qualità della vita o la sua posizione all’interno della famiglia o della società, ma è un fatto che «ha a che fare con il senso della vita di ognuno».

Sono venuto a conoscenza degli studi teologici di Vito Mancuso per caso qualche anno fa guardando la trasmissione in onda su La 7 “Otto e mezzo” quando era condotta da Giuliano Ferrara.

Ospite di quella puntata era appunto Vito Mancuso , poiché era da poco stato pubblicato il suo libro “L’anima e il suo destino” (Raffaello Cortina 2007).

Il fatto che nel XXI secolo qualcuno avesse deciso di scrivere un libro sull’anima (nonché in buona sostanza sull’al di là) con la pretesa, tra l’altro, di trattare questo tema con razionale rigore mi incuriosì molto; comprai così il libro e lo lessi.

“L’anima e il suo destino” è in realtà un libro sul senso complessivo della nostra esistenza, leggendo il quale ho scoperto che Mancuso , sempre naturalmente nella prospettiva teologica, aveva già scritto in passato un altro libro dedicato in modo specifico alla questione dell’handicap: “Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio ”, pubblicato nel 2002 nei Saggi Mondadori.

Questo libro è stato ristampato nel 2008 per gli Oscar Mondadori e nella Premessa all’edizione Oscar l’autore, richiamando il paragrafo 8 de “L’anima e il suo destino”, ribadisce come nel suo pensiero, proprio sul punto della disabilità, ci sia stata una «evoluzione» rispetto a quanto già esposto appunto ne “Il dolore innocente”.

Sempre in questa Premessa afferma: «la posta in gioco non è solo la sorte di qualche sfortunato e della sua famiglia, ma è la complessiva visione del mondo e conseguentemente l’operare in esso cioè l’etica. La nascita di una sola bambina con la trisomia 21 (più nota come sindrome di Down), o con la spina bifida, o idrocefala, o autistica, o… ha a che fare con il senso della vita di ognuno» (p. X).

Nel citato paragrafo 8 de “L’anima e il suo destino”, significativamente intitolato “Un’evoluzione personale”, chiarisce: «Per me l’handicap, e in genere il dolore causato dalla natura, è stato e continua a rimanere un punto di osservazione privilegiato da cui tentare di capire qualcosa del mondo» (p. 22).

L’interrogativo da cui muove appunto tutta la riflessione svolta ne “Il dolore innocente” è sintetizzata nel titolo dato alla Introduzione: «Perché nascono così?». All’introduzione fa da contraltare la Conclusione, che (almeno) nel titolo non reca più l’interrogazione: «Perché nascono così».

Il tono assertivo del titolo della conclusione chiude un libro, che in realtà fa sorgere innumerevoli domande nel lettore, che si trova quasi costretto man mano che avanza nella lettura a fare un bilancio della propria vita. Ecco, l’interpretazione teologica che dà Mancusodell’esistenza spinge ineluttabilmente a ragionare sulla propria personale esistenza.

Il libro, in fondo, a detta dello stesso autore, è «nato dalla sofferenza e intende servire la sofferenza» (p. 3) ed il suo «oggetto specifico […] non è l’handicap e le persone che ne sono colpite, ma Dio » (p. 5).

Perché deve soffrire chi non ha colpa, chi non può avere colpa; perché esiste il dolore innocente dalla o per nascita. Mancuso cerca le risposte a tali fondamentali quesiti studiando la relazione fra Dio e il mondo, fra Dio e la natura, fra Dio e l’uomo: è il senso stesso della creazione che viene in gioco.

Lo studio, corredato naturalmente da riferimenti filosofici, si avvale anche del contributo dato dalla scienza nei suoi traguardi più avanzati così come (ma non solo) di dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità, che, in particolare, testimoniano come la disabilità sia una dimensione che già quantitativamente non può esser considerata marginale o minoritaria.

Oltre a quella della Chiesa cattolica, vengono altresì ricercate e prospettate le posizioni delle altre «grandi religioni mondiali» (p. 8) quali l’ebraismo, l’islam, l’induismo, il buddhismo.

Il tema, l’angolo visuale, la persistente domanda di senso che anima l’intera opera, naturalmente determinano una complessità del testo, che però non degrada mai in astrusa complicazione; uno dei pregi del libro è senz’altro la scelta di una forma piana, comprensibile, che in verità esalta, non mortifica, la sostanza e la indubbia problematicità della trattazione.

Vorrei solo ricordare, ad esempio, che il primo paragrafo del quinto capitolo è intitolato «Che cosa ne pensava Gesù di Nazaret?»; paragrafo, questo, ove l’autore inizia ad «affrontare direttamente il problema» e non può che partire da Gesù, poiché «è evidente che per la ragione teologica il primo luogo in cui cercare che il problema si illumini è dato dall’insegnamento e dalla vita di Cristo» (p. 140).

L’approccio di Mancuso, insomma, fa sì che “Il dolore innocente” sia un libro che si offre alla lettura di cattolici e laici, di chi è toccato da vicino dall’handicap e di chi non ne ha esperienza diretta, poiché, in ultima analisi, è un testo che stimola a chiederci chi veramente siamo o desidereremmo essere.

Mancuso, Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio, Mondadori, Milano 2008, pp. XVIII-243, euro 9,50

* Presidente del Comitato Siblings Onlus – Sorelle e fratelli di persone con disabilità (www.siblings.it).

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